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Sole 24 Ore: Dubai il crocevia culturale

 

Dubai. Conosciuta e pubblicizzata come la mecca del lusso, dell’eccesso, del mercato immobiliare più eccessivo al mondo. Dubai, però, non fa parlare di se, nel suo essere crocevia di culture e religioni diverse. La popolazione di Dubai è una delle più cosmopolite al mondo.

Quasi un milione e mezzo di abitanti, con oltre cento diverse nazionalità. Ma gli emiratini sono solo il 10% della popolazione. Per comprendere le proporzioni immaginiamo un’Italia dove solo sei milioni sono veri e propri italiani, mentre i restanti cinquanta milioni e più sono emigranti. Numeri non da poco per un nazione del Golfo Perisco che ha come vicini di casa paesi quali l’Iran, l’Iraq, l’Afghanistan, lo Yemen. Paesi in cui le tensioni sociali, le tensioni religiose sono parte di sanguinosi conflitti quotidiani. A Dubai c’è la libertà di culto. Cattolici, Protestanti, Induisti, Buddisti, i Sikh, tutti possono professare la propria identità religiosa, possono avere luoghi di culto e, in mancanza di questi, organizzarsi in luoghi privati. Possono far conoscere i luoghi e gli orari delle proprie funzioni, ma non possono fare proseliti. L’Islam lo persegue penalmente. La St.Mary è la principale chiesa cattolica di Dubai. Migliaia di fedeli riempiono le sale ad ogni funzione. E ce ne sono ben cinque solo la domenica. Le campane sono state donate dallo sceicco Rashid Al Makotum nel 1966. Molto tempo prima che si agitasse lo spettro contemporaneo dello scontro di civiltà. La messa affollatissima delle dieci è sottotitolato sui grandi schermi: ”Dobbiamo comprenderci tra di noi, prima di tutto” sorride padre John, filippino “l’inglese è la lingua con cui cerchiamo di comprenderci e ognuno la parla alla sua maniera. I nostri programmi le nostre attività, permettono che ci sia comprensione e integrazione fra cattolici di diverse nazionalità, che è il primo passo per poi comprendere gli altri”. Appena fuori dal perimetro della St. Mary c’è una moschea, solo qualche metro di distanza. Di fronte una scuola religiosa Iraniana, in una strada laterale la chiesa protestante. I tassisti la conoscono come il quartiere delle religioni. “Una delle chiavi di volta della nostra strategia di sviluppo si basa sulla cultura, uno dei temi più cari dello Sceicco Mohammed bin Rashid Al Maktoum, attuale governatore di Dubai”. Yasser Hareb preside la fondazione personale di Al Maktoum, dedita esclusivamente all’integrazione culturale: “c’è molto più in comune di quanto si voglia ammettere tra le diverse culture. Lo scontro di civiltà è soltanto un’esagerazione se non un’esasperazione”. La fondazione Al Maktoum ha recentemente inaugurato due programmi: il Turjuman e il Tarjem. I programmi comportano la traduzione di più di mille best seller occidentali in arabo e la traduzione dei libri più importanti in arabo in lingua inglese. Quali siano i testi, però, non è dato sapere. La lingua, quindi, come passaggio essenziale per la comprensione. Il programma più efficace per la comprensione culturale rimane il business. I consigli di amministrazione sono un crogiuolo di diverse nazionalità. E tutti vogliono capirsi, perché così ci si guadagna. La negazione di un indiano è, invece, un’affermazione. Discutere con i piedi saldamente a terra è fondamentale, perché le suole delle scarpe sono offensive per i musulmani. Ciò che può il denaro, difficilmente può qualsiasi altro programma di integrazione. “Nella comprensione culturale, la comunicazione è il maggior problema. Lo sviluppo economico di Dubai ha comportato un training culturale linguistico immediato ai suoi lavoratori”. Raymond H. Hamden è presidente della Emirates Psychological Society e dirige l’Istituto di relazioni Umane di Dubai: “perché qui e non altrove? Perché la comprensione culturale è intrinseca al business. Espandendolo, si espande anche la volontà di comprensione. Dubai espande non solo la propria di comprensione, ma anche quella del mondo arabo”. Più che la curiosità, la volontà di conoscenza, poté il mero denaro. Un tassista pakistano mi guarda: “Non sono buoni musulmani qui a Dubai, hanno tanti soldi e ci sono tanti musulmani poveri. Non è giusto”. Ancora una volta il denaro, ma che separa credenti di una stessa fede. Chiese e moschee possono convivere, la gente si sforza di comprendersi, anche se non si piace. Speculare sul mattone va bene, ma non c’è il tempo per incuriosirsi di una cultura altra. Così si lascia il crossover culturale agli affaristi che lo esercitano per i propri bisogni. In fin dei conti i ricchi riconoscono e comprendono gli altri ricchi. I poveri cercano di comprendersi tra di loro. E tutto andrà bene, almeno fino al prossimo consiglio di amministrazione. Tutto andrà bene, fin quando i bilanci sono in positivo.

Speciale Responsabilità Sociale

 

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