Intervista con Fatjona Mejdini
Il “confine blu” è la definizione che gli investigatori danno del mare Adriatico, un confine che ha unito due Paesi ma anche due realtà criminali: quella italiana e quella albanese. Una relazione che possiamo definire decennale, articolata. Raffaele Cutolo intuì il potenziale delle coste pugliesi. Da allora, la crescita di gruppi che non sono più mera manovalanza, ma attori principali nello scacchiere europeo delle rotte del narcotraffico, è stata inarrestabile. Affidabili, seri, determinati, altamente specializzati, queste le definizioni più ricorrenti. Ma è mafia o criminalità organizzata? E quanto si è sviluppata nel corso dei decenni? È il focus del dialogo con Fatjona Mejdini, giornalista e ricercatrice, dopo gli studi a Tirana ha conseguito la Hubert H. Humphrey scholarship, corrispondente per Balkan Insight, oggi è field coordinator per Global Initative against Transnational Organized Crime.
Si parla spesso di crimine organizzato albanese. Le cronache sono piene di operazioni in cui il traffico di droga ha la preminenza come campo di specializzazione. Qual è il quadro reale delle mafie in Albania, ed è corretto parlare di mafia?
In effetti, in Albania, non si potrebbe parlare di gruppi di criminalità organizzata che hanno le stesse caratteristiche della mafia italiana. Diverse ricerche hanno dimostrato che i gruppi criminali albanesi sono reti fluide, poli criminali, facilmente adattabili e costantemente alla ricerca di nuove opportunità e mercati.
Spesso, al centro di questi gruppi ci sono membri della stessa famiglia, e affiliano amici e persone della stessa città natale, così hanno una base fedele che facilita il loro funzionamento. Tuttavia, questa struttura cambia molto quando agisce in un ambiente diverso. I diversi gruppi criminali sono molto collaborativi tra di loro e hanno reciproca fiducia ma, nella maggior parte dei casi, il nucleo del gruppo è sempre composto da persone dello stesso paese. Di conseguenza, negli ultimi tre decenni, questi gruppi sono cambiati molto, in termini di modus operandi, di prodotti illeciti che trattano e di mercato in cui operano. Hanno iniziato le loro operazioni criminali con il traffico di cannabis all’inizio degli anni Novanta, e anche con l’eroina che entrava nella regione dalla Turchia e poi con ulteriori traffici in Europa centrale e occidentale. Negli anni Novanta e all’inizio del 2000 questi gruppi sono stati anche attivi nel traffico di esseri umani e nel contrabbando di armi. Tuttavia, con il passare del tempo questi due elementi sono gradualmente scomparsi e i gruppi criminali albanesi hanno iniziato a specializzarsi principalmente nel traffico di droga, anche perché questo è considerato uno dei mercati più redditizi a livello globale. All’inizio del 2000, questi gruppi hanno iniziato ad esplorare i mercati della cocaina dopo essere stati “potenziati” dal traffico di cannabis ed eroina. L’ingresso in questo mercato li ha resi più flessibili e li ha ramificati in diversi paesi d’Europa e oltre. In un breve, sono stati in grado non solo di trasportare la cocaina nel porto di Durazzo, e in altri della regione come il porto di Bar in Montenegro e i porti greci, ma anche in alcuni dei più grandi porti d’Europa, come quelli in Olanda, Belgio, Spagna e Germania. Questo ha dato loro più potere, mezzi finanziari e un alto grado di sofisticazione. Oggi, questi gruppi sono considerati tra i più organizzati per quanto riguarda il traffico di droga in Europa.
Se abbiamo una mafia albanese, come si inserisce e quali sono le alleanze e gli scontri nel quadro dei paesi balcanici? C’è un’egemonia di un gruppo o come interagiscono?
Un dossier della Global Initiative Aganist Transnational Organized Crime ha dimostrato che non esiste una struttura che possa definirsi mafia balcanica, ma gruppi di diverse parti della regione che molto spesso collaborano tra loro. Gruppi di diverse etnie hanno dimostrato di essere molto aperti alla collaborazione, e questo accade anche in aree famose per le forti divisioni etniche come il Nord Kosovo. L’etnia non è mai stata un ostacolo alla collaborazione per la criminalità organizzata nella regione. Albanesi, bosniaci, croati, serbi, montenegrini, macedoni, greci, bulgari, turchi, ecc. collaborano regolarmente tra loro quando si tratta di occuparsi di traffico di droga, contrabbando di armi e munizioni, contrabbando di sigarette, e molto altro ancora.
Esistono legami storici tra i gruppi criminali albanesi e italiani che sono sorti tra le due sponde dell’Adriatico. Da questa genesi, oggi si parla di gruppi criminali albanesi presenti e radicati nella Capitale Roma. Quale potrebbe essere la loro evoluzione in Italia?
I legami tra criminalità organizzata albanese e quella italiana si sono creati nel corso di diversi decenni, favoriti dalla vicinanza territoriale, da interessi comuni e dalla grande diaspora degli albanesi in Italia. Dall’inizio degli anni Novanta, la criminalità organizzata albanese ha fornito alla mafia italiana (via mare) cannabis, eroina, armi e munizioni, ecc. Questa gamma di “prodotti” ha assicurato loro una stretta collaborazione con i gruppi italiani e ha aperto la possibilità di usare l’Italia come base per le loro operazioni criminali in Europa occidentale. Anche il livello di collaborazione è cambiato nel corso degli anni. Fino all’inizio del 2000, molto spesso gli albanesi erano i partner di grado inferiore degli italiani, quasi solo manovalanza. Spesso, venivano mandati a prelevare la cocaina dai container nel porto di Rotterdam o Anversa e a riportarla in Italia. Tuttavia, con il passare del tempo, gli albanesi hanno imparato i trucchi e hanno iniziato a creare linee di collegamento dirette con i cartelli della droga in America Latina. Hanno anche iniziato ad organizzare grandi reti di distribuzione in alcuni Paesi chiave come il Belgio, i Paesi Bassi e la Spagna, riuscendo così a dirigere tutta la filiera del narcotraffico: dall’assicurarsi grandi quantità di cocaina alla fonte fino a distribuirla nelle grandi capitali d’Europa. Tuttavia, molti criminali albanesi che hanno iniziato la loro carriera in Italia, si sono già trasferiti e ora operano in mercati più ricchi, come il Regno Unito. Altri, semplicemente inseguiti da un mandato di cattura italiano, si sono trasferiti ad operare in altri Paesi europei. Vale anche la pena sottolineare che alcune delle più strette collaborazioni tra criminali albanesi e italiani si sono create nelle carceri. Il lungo tempo trascorso in prigione ha dato spesso ad albanesi e italiani l’opportunità di stringere forti legami e iniziare a collaborare dopo il rilascio. Questa circostanza non solo ha rafforzato questi gruppi, ma ha anche aperto la porta alla creazione di gruppi misti, ed anche ha aperto la strada, per alcuni albanesi, per entrare a far parte della mafia italiana. Per esempio, soprattutto nelle carceri della regione Puglia, i criminali albanesi sono entrati in contatto con la mafia italiana. Questo è il caso, ad esempio, di Arben Zogu, che ha creato la rete del narcotraffico controllata dagli albanesi a Roma. Zogu è stato in carcere con Rocco Bellocco, boss di una delle più potenti famiglie della ‘ndrangheta: una situazione che ha costituito la base di una preziosa amicizia. Oggi sono, più che altro, partner alla pari dei gruppi mafiosi italiani, collaborando quando serve, ma anche lavorando separatamente senza “disturbarsi” a vicenda.
Il reato di associazione mafiosa è presente in Albania, la legislazione penale ha poteri sufficienti per combattere il crimine organizzato o deve essere resa più efficiente?
In Albania c’è una buona base di legislazione per combattere il crimine organizzato. Diverse iniziative sono state prese nell’ultimo anno anche nella lotta contro gli asset creati come risultato di attività criminali. La creazione di una nuova istituzione come la SPAK, Procura speciale anticorruzione e crimine organizzato, insieme al National Bureau of Investigations, sta dando nuove speranze per una lotta più incisiva contro la criminalità organizzata. Inoltre, c’è una buona collaborazione con partner e Paesi chiave e Istituzioni multilaterali come Europol. Tuttavia, più risorse finanziarie e umane dovrebbero essere dedicate a questa lotta. Non dobbiamo dimenticare che le organizzazioni criminali hanno grandi risorse finanziarie e con il passare del tempo stanno diventando più sofisticate, utilizzando la tecnologia criptata per le loro comunicazioni, e riciclando denaro attraverso le criptovalute e schemi finanziari opachi ed elaborati nella regione e all’estero. Quindi, è importante che le Forze dell’ordine stiano al passo con queste ultime tendenze e non restino indietro.
C’è una società civile in Albania che reagisce alle mafie, che ha questa sensibilità, o il problema è visto come lontano che non coinvolge la vita quotidiana?
Per molto tempo la società civile in Albania è stata disinteressata alla lotta al crimine organizzato. Nel Paese è prevalsa l’idea che la lotta al crimine organizzato appartenesse solo alle Forze dell’ordine. Tuttavia, con il passare del tempo, e con importanti spinte da parte dei donatori internazionali, la società civile in Albania ha iniziato a capire che poteva avere anche un ruolo importante nella lotta contro il crimine organizzato. Il loro lavoro, di conseguenza, si è attualmente concentrato sulla sensibilizzazione, soprattutto dei giovani, sui rischi che la criminalità può portare nella loro vita. Alcune organizzazioni stanno lavorando nelle aree più problematiche, per aiutare i giovani indirizzandoli verso percorsi di carriera legali, spingendoli ad esplorare maggiormente le potenzialità delle aree in cui vivono e a sviluppare uno spirito imprenditoriale. D’altra parte, bisogna anche sottolineare come i giornalisti albanesi hanno sempre dato un buon contributo alla lotta contro la criminalità; con coraggio hanno pubblicato storie di grande impatto civile. Tuttavia, quando si parla di opinione pubblica, il crimine organizzato non fa parte delle discussioni quotidiane. Soprattutto quando i reati vengono commessi all’estero, cosa che accade spesso, ma che non incide assolutamente sull’opinione pubblica. In Albania le persone sono più preoccupate per i bassi salari, la corruzione, i cattivi servizi offerti e la mancanza di opportunità per i loro figli.