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Camminare scalza, un bicchiere d’acqua e la primavera

Camminare Scalza

CAMMINARE SCALZA, UN BICCHIERE D’ACQUA E LA PRIMAVERA

di Velia, postfazione di Sergio Nazzaro

Camminare scalza, un bicchiere d’acqua e la primavera è il racconto della complicata storia d’amore di Velia, tratto dalle pagine autografe del suo diario, dal quale emerge un contesto di maltrattamenti e violenza familiare, psicologica e fisica. Una storia che è di Velia come di tante altre donne che trovano nelle mura di casa la loro dolce e terribile prigione. Una storia vera, diventata spettacolo di musica e parole grazie al lavoro dei DescargaLab, raccontata intrecciando le parole con canzoni e immagini, in una metrica surreale ed energica poggiata sulle radici culturali dei ritmi percussivi da cui la musica di sottofondo prende le mosse.È successo ancora, stamattina, ma non mi ricordo nulla. Non so ricostruire i fatti, non ho segni addosso che lo provino. Ho solo dei flash, parole urlate e io stretta in un angolo senza mutandine, le sue mani premute sul mio volto, offesa e piena di vergogna per me stessa. Come un verme. 

“Ho vissuto con Rudy per dodici anni. Durante tutto questo tempo ho accettato la sua violenza come un dato di fatto, facendomene vittima. Avevo per compagno questo mio diario, che mi è servito per mantenermi lucida nei momenti bui. Ora non mi serve più. Lo lascio a chi vorrà farne tesoro”. 

(c) 2013 Hackmuth | Libri da leggere – ISBN 978-88-908861-0-2 – 96 pagine, 10€ (libro + CD)

 

Postfazione

La Costituzione, la mia. (Sergio Nazzaro) 

“che di coraggio ne abbiamo tanto, ma qui diventa sempre più dura quanto ci tocca fare i conti con il coraggio della paura” (Giorgio Faletti)

n.52/19-7 di prot.llo

oggetto: trascrizione documento autografo agli atti omissis cfr. all.to 4

Signor Capitano non lasci infangare la mia memoria. Dopo 30 anni in cui l’ho chiamata per nome, oggi è il giorno che torniamo a chiamarci per gradi. Signor Capitano lascio da parte la confidenza, per mettere sul tavolo la fiducia che difenderà il mio onore, perché oggi è il giorno in cui non sono più forza dell’ordine, ma legge. No, non mi sento Dio, mi basta il mio lavoro, mi basta la mia divisa. Oggi è fresca di lavanderia, di stiratura. Ci sono tutti i gradi guadagnati sulla strada, piccole strisce di colore che capiamo soltanto noi. Lascio nel primo cassetto a destra della mia scrivania il tesserino che, il distintivo, lo usano solo nei film americani. La pistola la porto con me. Abbiamo da finire un lavoro: l’ultimo verbale a cui mettere la parola fine. Concorda con me Capitano che, scegliere non vuol dire subire. Che un incontro, non può condannare all’inferno in terra. Si ricorda quando mi rimproverò? Avevo pensato male: li scelgono sbagliati e ne pagano le conseguenze. Mi vergogno di quelle parole. Un errore non può essere condanna, aveva ragione, anzi ha ragione. Quante volte abbiamo dovuto sopportare lo sguardo di lividi, macchie di sangue, di calci sferrati su chi non ha la possibilità di difendersi. Quante volte Signor Capitano ho dovuto scrivere: per aver profittato di circostanze di tempo, luogo e di persona tali da ostacolare la difesa privata. Quanti hanno profittato. Oggi no Capitano, oggi profittiamo noi, gli uomini con la pistola, la legge e la Costituzione, la mia. Almeno una volta. Diranno che ero sconvolto dalla morte di mia moglie. No, l’ho rispettata per tutte le notti che mi ha aspettato in silenzio. Mi chiedeva solo se era andato tutto bene. Andato bene? Vederli andare via, subito dopo. E noi bloccati tra le carte e le regole. Oggi no. Voglio vedere lo sguardo che diventa paura. Facile picchiare una donna, che ci vuole Signor Capitano, sono donne. Come fossero cani da prendere a calci. Almeno oggi, solo per oggi, voglio vedere gli occhi di un uomo violento diventare paura, implorare pietà. E non concederla: perché oggi vado in pensione Capitano. Mia moglie è morta da quasi un anno. Figli, purtroppo, non ne abbiamo avuti. Ho adottato il figlio di omissis, omissis. Un padre non l’ha mai avuto. Ho scelto, potevo rimanere al loro fianco, o fare una cazzata come la definirebbe Lei Capitano, una grandissima cazzata. Lo sa bene che ho scelto sempre le regole. Oggi no. Mi presenterò con la divisa pulita, non capirà nulla finché non vedrà la mia beretta d’ordinanza puntata davanti agli occhi. Non è una carriera buttata, anzi. Nel cassetto della mia scrivania, con il tesserino trova anche le chiavi di casa. Sul tavolo da pranzo troverà le mie ultime volontà. Cosa posso dirle ancora? Sono stato onorato di questa divisa, di questo lavoro, di poterlo fare al suo fianco Capitano. Ne abbiamo messi tanti dentro, ma non tutti. Qualcosa abbiamo provato a farla bene. Oggi ci riesco, non ci provo. Perché ho deciso di ammazzare? No, non è ammazzare, è fare Costituzione, la mia. Non posso sopportare più un occhio gonfio e un labbro che sanguina sul volto di una donna. Le donne, quante ce ne fanno passare. Ho mentito Signor Capitano, non sarà un solo colpo. Tecnicamente lo definirete con l’aggravante della crudeltà, ma non ci sarò in un tribunale a sopportare questa affermazione. Non sono mai stato crudele. Non ho mai dato uno schiaffo in caserma, che non fosse dovuto. La gente crede che dorme sonni tranquilli perché siamo brave persone nel nostro lavoro. Si può dormire tranquilli perché sappiamo scavalcare il confine delle regole, e sappiamo tornare indietro. Senza lasciare traccia. Prima le ginocchia, poi le spalle, poi l’ultimo colpo. Vado Capitano, torno da mia moglie. Ho paura di cosa mi dirà. Spero che non mi odierà, non approverebbe mai quanto sto per fare. Neanche Lei Capitano, non voglio che capisca, comprenda ma, non faccia infangare la mia memoria, non lo permetta. Non sono un pazzo, ma solo un uomo di legge. Oggi faccio soltanto il mio lavoro: solo un uomo che va a lavorare.

 luogo omissis data 16 maggio 2013

nel documento originale firma in calce al documento, nella trascrizione omessa.


Progetto DescargLab e Camminare Scalza

Quando tutta la storia era ormai un ricordo, Velia ha accennato a questo manoscritto distrattamente, al tavolino di un bar. Poi me lo ha voluto consegnare per vedere se si poteva raccontare, per renderlo in qualche modo utile ad altre ragazze che stessero vivendo quella situazione. Pagina dopo pagina la forza delle parole mi è entrata dentro sconvolgendomi, anche se avevo vissuto indirettamente i fatti. Ne è nato un reading accompagnato dalle musiche di DescargaLab e, infine, questo libro.

(Andrea Tammaro)

DescargaLab è un laboratorio musicale che nasce dalla passione per il mondo dei ritmi. Collabora attivamente con Balrog Teatro. Il gruppo mette in campo il proprio impegno civile promuovendo un festival nazionale di percussionisti, veicolo di scambio tra culture, e lavorando sul terreno della legalità fianco a fianco con il gruppo di lavoro di www.scampiaitalia.it e con il giornalista di inchiesta e scrittore casertano Sergio Nazzaro.

L’incontro con il tema della violenza sulle donne è capitato casualmente ma su una via quasi obbligata, perché “Camminare scalza, un bicchiere d’acqua e la primavera” è una storia vera e gli amici che si stringono attorno a Velia sono in larga parte i ragazzi di DescargaLab. Sono quegli amici che nei momenti più difficili si sono fatti in quattro per non lasciare sola Velia ed evitare che succedesse il peggio, che l’hanno aiutata a dipingere la casa nuova e a buttare i mobili vecchi, sono gli stessi amici che hanno deciso assieme a Velia di rendere pubblico il diario che lei ha tenuto segretamente in quel periodo, di farne uno spettacolo di musica e teatro e di finanziarne la pubblicazione.

DescargaLab: Marina Puglia (voce) Giusi Cipriano (violino e percussioni) Andrea Tammaro (pianoforte) Gianluca Vitali (basso) Alberto Patrissi (chitarra) Francesco Fontana (batteria) Gaetano Ievolella (voce narrante), hanno collaborato a questo progetto: Alberto Gualdoni (tecnico luci, suoni e scenografie) Luca Puglia (immagini) Ludovico Maria Gilberti, Andrea Brera (fotografia)

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