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Criminalità e Covid-19: la mafia nella busta della spesa

La pandemia del Covid-19 ha investito prima la sanità, poi le carceri e immediatamente dopo l’economia. Un’immagine ha fatto il giro del mondo: la busta della spesa della mafia consegnata alle famiglie più bisognose. Una narrazione facile e di grande impatto di come la mafia fosse presente in Italia.

Il welfare delle mafie

Una mafia che assiste i poveri nei quartieri disagiati, una mafia che svolge welfare perché lo Stato è assente. Un’immagine vera soltanto in parte, ma che ha un rimando storico simile. L’immagine del mafioso con la coppola e la lupara: immagine folcloristica che è servita a distogliere l’attenzione dalla mafia più pericolosa e pervasiva, quella economica e dei grandi investimenti.

Le mafie in Italia si trovano di fronte ad un Paese in piena crisi economia e questo permette loro di investire dovunque, ma piuttosto che rilevare piccole attività, approfittando della crisi di medie e grandi imprese, potendo riciclare capitali e acquisire consenso sociale salvando posti di lavoro. Quindi un punto fermo diventa la capacità delle mafie italiane di potersi muovere dalla busta della spesa ad acquisizioni societarie di grande valore, dimostrando la propria capillarità nel panorama nazionale.

Ma di quanto denaro si parla? Quanto reale è la capacità economica?

Quanti soldi contiene la busta della spesa?

«Per comprendere quanta liquidità hanno le mafie dobbiamo riflettere su un dato». Roberto Tartaglia[1] è un magistrato antimafia che ha vissuto a lungo in Sicilia: «In normali tempi economici, la mafia ha sempre investito anche in società in perdita, che sembra quasi un controsenso, ma non lo è se riflettiamo sul concetto di riciclaggio di denaro. Ho un milione di euro, frutto di attività illecita, lo investo e ne perdo, 200mila, anche 300mila, il resto è denaro ripulito. Legale. Tanto non è che li hanno guadagnati con il sudore della fronte quei soldi. Possono buttarli come vogliono, ma ovviamente non li buttano mai: i soldi delle mafie producono sempre altro denaro, non avendo concorrenza o regole da rispettare. E se questo accade in tempi economici normali, in cui hanno talmente tanta liquidità da poterla buttare via pur di ripulirla, immaginiamo cosa possono fare in questi tempi eccezionali dove la liquidità è necessaria per tutti. Altro dato che mi colpisce: mentre tutti i dati indicano una caduta drastica dei reati in generale, l’unico reato in crescita è quello dell’usura, quasi +10%, e stiamo parlando solo di quello denunciato, quindi secondo me il dato reale è anche più del doppio».

Attenzione ai reati spia

La Polizia di Stato ha sottolineato la necessità di mantenere elevata l’attenzione verso determinati reati “spia”, indici di fenomenologie di infiltrazione criminale, anche mafiosa, nelle pieghe economico-finanziarie: l’attività estorsiva, l’usura, le attività speculative di fagocitazione immobiliare o di impresa favorite dal bisogno impellente di denaro contante; l’illecita concorrenza attraverso l’uso della violenza e minaccia; le attività di riciclaggio e reimpiego di denaro o beni di utilità e provenienza illecita; il trasferimento fraudolento di beni e le truffe per il conseguimento di erogazioni pubbliche; la corruzione, nell’ambito dei rapporti con le Pubbliche amministrazioni, e altre condotte indebite di pubblici amministratori, soprattutto nelle interazioni tra settore pubblico e imprenditoria privata in àmbito sanitario; l’aggressione e il condizionamento del ciclo dell’appalto.

Una potenza economica

«La disponibilità economica delle mafie è un punto molto dibattuto, non potendo fornire altro che stime. Centinaia e centinaia di miliardi, dato che letto nel corso degli anni è in costante aumento ed è sempre stimato da diverse categorie di associazioni, Forze dell’ordine, centri studi. Tra i diversi lavori nel campo è da sottolineare uno studio della Banca d’Italia[2] datato ottobre 2019 e pubblicato solo in lingua inglese intitolato The real effects of ’Ndrangheta: firm level evidence[3]: “Focus sul caso della ’Ndrangheta, una grande organizzazione criminale originaria del Sud Italia”. Combinando le informazioni provenienti dai registri investigativi con i dati dei panel sulla governance e sui bilanci delle imprese, si è costruito un indicatore delle infiltrazioni della ’Ndrangheta nelle imprese situate nel Centro e nel Nord Italia, cioè in aree senza tradizione di criminalità organizzata. Dimostriamo che (a) la criminalità organizzata tende ad infiltrarsi nelle imprese in difficoltà finanziarie e in settori che dipendono maggiormente dalla domanda del settore pubblico o sono più inclini al riciclaggio; (b) l’infiltrazione genera un aumento significativo dei ricavi dell’impresa interessata; (c) la penetrazione della criminalità organizzata produce un effetto negativo a lungo termine sulla crescita economica a livello locale».

I dati che emergono sono impressionanti, soprattutto se si considera che rappresentano solo una piccola quota dei business delle diverse mafie: 9.200 aziende infiltrate nel 2016, ricavi di 42 miliardi di euro e 8mila soci collegati alla ’Ndrangheta. Tra gli effetti macroeconomici, il crollo dell’occupazione. Quasi 8mila soci, azionisti o amministratori legati da vincoli familiari a clan ’ndranghetisti e sono probabilmente affiliati alla ’Ndrangheta: si tratta dello 0,2% del totale degli imprenditori e dello 0,7% del totale delle imprese di questa intera area del Paese.

Mentre la busta della spesa fa il giro del mondo, questi dati, fondamentali per la comprensione del fenomeno mafioso e della sua effettiva portata, rimangono poco conosciuti e ancora meno diffusi.

[1] Ha lavorato a Palermo presso la Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica, dove è stato titolare di importanti processi contro la criminalità organizzata, tra cui il processo Trattativa Stato Mafia. Dal maggio 2019 è stato consulente della Commissione parlamentare antimafia. Oggi è Vice capo del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria.
[2] La Banca d’Italia (giornalisticamente nota anche come Bankitalia) è la banca centrale della Repubblica Italiana, parte integrante dal 1998 del sistema europeo delle banche centrali (SEBC). Si tratta di un istituto di diritto pubblico.
[3] https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/temi-discussione/2019/2019-1235/en_Tema_1235.pdf

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