Cerca
Close this search box.

D di Repubblica: Eric Weiner geografia della gioia

Esiste un luogo, dove si è felici? Eric Weiner è un giornalista americano che ha compiuto un viaggio per cercare il luogo dove esiste la felicità. Dall’Olanda alla Svizzera, dall’Islanda alla Moldavia e poi fino nel Buthan, passando per il Qatar e l’India.

Un viaggio intorno al mondo che si è trasformato in un libro: Geografia della Gioia. Tra analisi e ricerche scientifiche sulla felicità, rimandi alla filosofia, aneddoti e i resoconti dei viaggi, Weiner conduce il lettore alla scoperta di mondi altri, dove forse c’è, per davvero, la felicità. Letteratura di viaggio e letteratura dello spirito, Weiner riesce a tramutare i suoi interrogativi in occasioni di partenze e scoperte, con rispetto profondo per le culture che attraversa sempre con un sorriso ironico pronto ad affiorare tra le labbra. Ma è anche un libro giornalistico, uno sguardo sulla contemporaneità del mondo in cui viviamo e sulle sue diverse culture e società. Probabilmente uno dei luoghi della felicità è il libro stesso.

Eric Weiner non ama che gli sia dia del tu da subito, per questo dopo cinque minuti al telefono, gli domando se l’intervista la vuole con un tono formale:

“Assolutamente no, ormai ti ho conosciuto e siamo in confidenza, possiamo darci del tu”.

Mi è piaciuta molto la tua affermazione: “Cambia l’ambiente in cui vivi e puoi cambiare la tua vita. Non è un fuggire dai problemi, ma semplicemente riconoscere che dove si vive, influisce sul chi siamo”. La felicità è direttamente collegata all’ambiente in cui si vive?

“Assolutamente. Il nostro habitat, la società in cui viviamo, influisce profondamente sulla nostra felicità. E’ naturale che sia così! Noi, poiché esseri umani, siamo creature legate alla geografia, e sarà sempre così. Credo che sia un punto che molti libri di “aiuto personale” trascurano. Sono troppo concentrati sulla nostra vita interiore, sul ritrovare il bambino che è in noi. Così facendo ignorano un aspetto importante della nostra felicità. Allo stesso modo, non credo che si possa essere felici dovunque, tanto quanto si possa essere felicemente sposati con chiunque”.

La possibilità che la felicità dipenda non solo da uno sguardo interiore, ma dalla società in cui si vive, non responsabilizza maggiormente le azioni dei governi?

“Questo è un punto interessante. Penso che tu abbia ragione, ma solo per quanto riguarda le azioni che influenzano la nostra vita quotidiana: la salute, la qualità dell’aria, la cura degli spazi verdi e via dicendo. Queste cose influiscono sulla nostra felicità. In realtà, per noi, la felicità deriva dalle relazioni con le altre persone, e i governi, non hanno un grande impatto sotto quest’aspetto, almeno credo”.

L’Italia è un luogo felice? Domanda diretta e forse anche retorica, ma ho notato che non ci siamo nel tuo libro: una scelta o una coincidenza?

“Alcuni mi hanno già chiesto: perché non sei andato in Italia? Mi dispiace dirtelo, ma l’Italia non è una delle nazioni più felici al mondo, almeno secondo gli studiosi di scienze sociali che analizzano il campo della felicità. A essere precisi, nelle ricerche, gli italiani risultano non essere particolarmente felici. Comprendo che quest’affermazione possa essere sorprendente per molte persone, sia italiani sia stranieri. Certamente gli americani hanno un’immagine degli italiani felici seduti intorno ad una pizza o a bere un cappuccino. Gli italiani, invece, sono persone molto volubili, umorali, se posso dirlo, e questo non conduce alla felicità. Invece gli svizzeri, per esempio, sono costantemente nelle prime posizioni. Gli svizzeri hanno un carattere più bilanciato, mentre gli italiani hanno grandi momenti di euforia e momenti di grande depressione. Questa è una generalizzazione, naturalmente, ma forse c’è un poco di verità”.

Dal tuo punto di vista, la felicità appartiene più al Sud del mondo invece che al Nord e alla stessa maniera, appartiene più all’Est che all’Ovest, nel senso che civiltà e progresso non sono sempre garanzia di felicità?

“Per la verità alcune delle nazioni più felici nel mondo sono nel Nord Europa, luoghi come la Danimarca e l’Islanda. Sì, qualche volta il “progresso” o la crescita economica non sono parte della felicità. Il Giappone, per esempio, è quattro volte più ricco di quanto non lo fosse negli anni ’50, ma non è più felice. Comunque, l’assoluta povertà non è la chiave della felicità. Sostanzialmente i soldi possono comprare ad una nazione la felicità. Molto denaro in più, non necessariamente li farà ancora più felici. Ad un certo punto il denaro cessa di essere la principale risorsa di felicità. Il problema è che lo dimentichiamo spesso e continuiamo a inseguire i dollari o gli euro”.

Raccontando del tuo periodo in India, lo definisci uno dei più felici della tua vita. Ma affermi, anche, che ti sei sentito un outsider. Essere outsider è il luogo della felicità?

“Per me è così! Sono felice quando sono nella posizione dell’osservatore. Questo è il motivo per cui sono diventato un giornalista. Questo è anche il motivo, credo, per cui molte persone sono felici vivendo da migranti.  Come “migrante” hai la possibilità di osservare oltre la superficie una cultura straniera, vederla per quella che è veramente. Se non lasci mai il tuo paese, se le persone in generale non lo fanno, non possono veramente comprendere la propria cultura, perché sono troppo vicine a essa.

E’ molto interessante il tuo incontro in Olanda, con il professore Veenhoven (sociologo esperto di studi sulla felicità ndr), credi che sia felice?

“Buona domanda. Penso di sì. Non perché studia la felicità (ho incontrato molti studiosi di felicità, infelici!), ma perché è pienamente coinvolto nei suoi studi. Ama il suo lavoro, questo è essenziale”.

La felicità esiste più nel cercarla anziché nel trovarla?

“Quando tu pensi di averla non ce l’hai, quando pensi di essere felice non lo sei più. La felicità è relativa. Cercandola ardentemente forse non la si trova. La felicità è sfuggente, deve essere presa di lato, non devi affrontarla direttamente, ma conquistarla”.

Nel libro parli della tua ossessione per le borse: le ossessioni hanno un senso di felicità nel loro esistere?

“Amo le borse perché viaggio molto, sono la mia casa. Una vita intera in una borsa è una questione interessante. Anche se non me la spiego molto bene questa mia mania. Non so se l’ossessione è felicità, certamente è un piacere più che una felicità”.

Che cos’è il viaggiare per te?

“Viaggiare è vedere il mondo in maniera differente. Viaggiare è cambiare prospettiva, uscire da se stessi, distaccarsi dai luoghi comuni e crearsi le proprie opinioni. Viaggiare è scuotersi. Lasciare l’America mi ha fatto comprendere meglio la mia nazione. Si approfondisce la cultura della geografia. Viaggiare cambia il modo di vedere il mondo e di descrivere la felicità”.

Quali sono le tue influenze letterarie?

“Tiziano Terzani mi ha influenzato molto. I suoi libri non solo descrivono luoghi, ma rivelano il mondo e il suo spirito”.

Dove mi consigli di andare per il prossimo viaggio?

“Tu sei di Roma, giusto?”.

Sì, vivo a Roma

“Non importa dove, ma come viaggi. Puoi anche andare giù in strada e vivere un’esperienza magnifica nel bar sotto casa. E’ importante viaggiare con l’anima, avere il cuore aperto. Un luogo lo visiti con la tua percezione”.

Come vedi l’attuale giornalismo americano?

“E’ un momento di grande difficoltà: si perdono lettori, si perde pubblicità, si licenziano giornalisti. Forse è anche il cambiamento dell’informazione nell’era della rete. L’informazione c’è. Manca chi analizza i fatti. Mi preoccupa che nel futuro non ci sarà un giornalismo capace di approfondire gli avvenimenti”.

E l’attuale campagna presidenziale come la stai vivendo?

“E’ troppa lunga! Sono già due anni che va avanti. In due anni, in Italia avreste fatto dieci governi! (ride ndr). Scherzo. Sta diventando una campagna estenuante dal mio punto di vista”.

Su che cosa stai lavorando per il prossimo libro?

“Su Dio. Lo conosci?”

Sì, anche se ho interrotto i rapporti diplomatici!

“Divertente quest’affermazione. Il mio prossimo libro racconterà quelle religioni che stanno scomparendo. Intendo dire quelle religioni antiche, che hanno profonde radici culturali e, sono ormai praticate da pochissime persone. E’ una ricerca molto appassionante”.

D di Repubblica 4 ottobre 2008

Cerca
Close this search box.