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Dubai Confidential: Il Foglio (Blog 2+2)

Marco Valerio Lo Prete, giornalista de Il Foglio, mi ha invitato a scrivere un articolo per il blog 2+2 Oiknomia del Il Foglio. LINK

2+2 ospita un intervento di Sergio Nazzaro, autore del romanzo-reportage “Dubai Confidential”, sugli ultimi eventi che hanno visto protagonista l’Emirato.

Dubai è fallita? Ma oggi, o forse anche ieri? Fino ad oggi i piccoli investitori, acquirenti di case, uffici e ville sono stati abbandonati dal governo di Dubai. Da oggi il problema è mondiale, perché riguarda i grandi investitori, cioè le banche. Ma il problema è di ieri. Se qualche migliaio di euro è bloccato in un progetto, non è un problema, se sono miliardi, cadono le borse. Dubai è stata la meta di tutti coloro che hanno voluto raddoppiare come se fossero su un tavolo di gioco. Ma la verità non sarebbe completa. Moltissimi sono andati a Dubai credendo in una terza via finanziaria, quella islamica. Credendo che un Governo arabo fosse più serio e normato di un Governo occidentale. Il default è facilmente superabile, se Abu Dhabi e il suo fondo sovrano Mubadala decidono di risolvere la questione.

La credibilità, per adesso è persa. La situazione vede moltissimi piccoli investitori bloccati in progetti dal futuro incerto. Dubai non ha ancora deciso da che parte stare, da quella sua di immobiliarista totalmente coinvolto, o dalla parte della ragione degli investitori, e quindi di Governo terzo, neutrale, affidabile. Oltremodo, i soldi versati sono bloccati in escrow account, controllati dal Governo di Dubai. Se il progetto non viene realizzato, perché non restituire gli investimenti? Questa domanda non ha risposta. Anzi sì: se il costruttore è costretto a restituire i soldi, lo stesso costruttore si rivale sul Governo perché non sono state create le infrastrutture necessarie e quindi vuole i soldi della terra restituiti. Ma per fare causa al Governo c’è bisogno dell’autorizzazione della Corte Reale. Che dipende da Al Maktoum, cioè il Governo.

Ma se sono le grandi banche mondiali a chiedere la restituzione, sembra che il mondo stia per crollare. Dubai paga lo scotto di una grande arroganza, guidata dal denaro quale panacea di tutti i mali. Strana contraddizione, quando lo Stato si fonda su una concezione religiosa, che si orienta allo spirito, piuttosto che al denaro. La terza via islamica della finanza, ha fallito. Non praticare gli interessi, essere generosi verso i deboli, non lucrare su armi, alcol e tutto ciò che è proibito ha sbattuto il muso davanti all’avidità. L’Occidente e il Medio oriente, sempre in conflitto, si sono ritrovati fortemente uniti dal denaro quale unico motore e punto di contatto.

Ognuno ha contaminato l’altro, ma sempre nell’accezione negativa. Depredandosi a vicenda e scaricandosi responsabilità. Perché alla fine dei conti il debito dovuto da Dubai World è diretto tutto verso l’Occidente. Anche in questo caso gli analisti hanno sbagliato, dopo la crisi dei subprime? Non hanno voluto vedere, o forse non hanno posto l’accento su ciò che doveva essere fatto: controllare il mercato. Ma si sa che le regole sono scomode per tutti. Arabi e non. Le maggiori istituzioni finanziarie, i maggiori costruttori, le maggiori aziende di servizio sono composte da Occidentali ed Emiratini. Non potevano non sapere. Non potevano non sapere che l’eccessiva speculazione avrebbe comportato un crollo del mercato. Non potevano non sapere che l’assenza di regole rigide avrebbe compromesso tutto il sistema Dubai.

Infatti, la domanda centrale è a chi giova tutto questo crollo finanziario che ha aspetti quasi paradossali? In primis ad Abu Dhabi, che inaugurata la pista di Formula 1, stava attendendo la caduta dei cugini per dettare le loro leggi e le loro regole. Farsi ripagare, con gli interessi, di anni di oscuramento mediatico e di declassamento a città noiosa e immobile. Senza spirito costruttivo e soprattutto senza una visione. Di poi c’è l’incognita Iran, Pakistan ed India. Tre attori che hanno investito in maniera impegnativa sulla città di Dubai. Mentre l’India e il Pakistan potranno contare perdite, l’Iran potrà riscuotere crediti con la sua influenza. Sono tutti fratelli dell’Islam. O no? Un’influenza che certamente non farà felici gli americani e gli inglesi che hanno saldamente la città in mano. Rimane il piccolo investitore che si trova a sbattere la testa contro il muro di non professionalità, incapacità e molto probabilmente di malafede, del costruttore a cui ha affidato il proprio denaro per avere un appartamento nell’assolato Golfo Perisco. Questo default permetterà la soluzione anche di piccoli problemi come questo, oppure i grandi si salveranno facendo affogare la terza classe del Titanic targato Dubai?

Le soluzioni, soprattutto a Dubai, sono semplici. Per quanto ci sia un Governo locale e federale, Al Maktoum ruler di Dubai nonché Primo Ministro degli Emirati Arabi può decidere da solo e far eseguire i suoi ordini. Non è una democrazia. Quindi le decisioni devono essere prese soltanto da una persona (in accordo con le altre famiglie regnanti) ed implementare le dovute e necessarie risoluzioni per evitare il default finanziario e di immagine. Cominciando a ripagare il piccolo investitore, piuttosto che le solite banche, potrebbe non solo credibilità, ma dimostrerebbe come una religione di Stato abbia il suo senso di essere, quando è più necessaria la difesa dei deboli.

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