Frammenti di un discorso antimafioso di Gianpiero Caldarella
Navarra Editore 2015 (112 pp, 10 euro)
Prefazione: Gianfranco Marrone, postfazione: Sergio Nazzaro, copertina: Mauro Biani
Dal ritrovamento di una vecchia copia dei Fragments d’un discours amoureux di Roland Barthes e da un primo nucleo di riflessioni postate sul blog “Scomunicazione”, nasce Frammenti di un discorso antimafioso, tentativo di ridefinizione della questione mafia-antimafia in chiave satirica, cifra stilistica cara al Caldarella. Il paradosso è sempre dietro l’angolo, qualcosa precipita, sembra essere proprio l’antimafia, quella d’apparato, quella scortata e foraggiata dalle istituzioni. Mentre l’antimafia sociale continua a fare il suo lavoro, con coerenza ed umiltà, quasi sempre senza denari, squilli di tromba o titoloni sui giornali. Con l’arma della satira Caldarella, già caporedattore de Il Male di Vauro e Vincino, rifonda un linguaggio antimafia che si allontana dai vecchi e consumati cliché, dove da una parte c’era lo Stato e dall’altro la mafia. Una prospettiva post-antimafiosa, scevra dalla retorica e dall’imbarazzo generato dal politicamente corretto.
Postfazione di Sergio Nazzaro
Ciò che avanza non si butta.
Manca un pezzo, un frammento. Nella letteratura delle mafie e delle antimafie, termine che è bene coniare ed iniziare ad usare, c’è stata giustamente la ricerca di completezza. Se da una parte la volontà di completezza era indice di serietà dello studio, altre ricerche avevano e hanno il gusto messianico del dire tutto e per sempre, pietra tombale ad un corpo che invece vive e muta continuatamente. Qui qualcosa manca. Manca un frammento, finale o meno, nel discorso antimafioso appena letto ed è quello che sovviene quando laicamente è stimolata la riflessione.
Un testo alieno che si arma d’ironia e si inserisce nelle pieghe nascoste della letteratura su mafie e antimafie. Non ha voglia di essere un testo completo, esaustivo, ma che interroga affermando ciò che altri volutamente o per poca visione, osservano, tralasciano neppure riescono a vedere.
C’è una contraddizione continua, un rimando ad un corpo che non è solo sociale e letterario ma di pensiero: se c’è l’antimafia esiste anche la mafia. Quanto si equivalgono e quanto sono corpi simbiotici che hanno bisogno di continui vasi comunicanti per sopravvivere è la domanda che si insinua nella lettura dei frammenti. Inquieta maggiormente la presa di coscienza che il corpo unico sia generato, un’ovvietà al giorno d’oggi, da una sola matrice: lo Stato.
L’insieme delle regole, delle carte e delle costituzioni che sono e diventano già, nell’atto costitutivo, il certificato di nascita di un’unione di fatto che difficilmente può sopravvivere alla separazione. Unione civile con le sue regole non scritte, ma semplici pizzini per ricordarsi i favori dovuti.
I frammenti, nel loro ordine alfabetico, aprono innumerevoli possibili varianti. Ogni frammento è specchio, riflesso ed opaco, del frammento che lo precede o di quello che sovviene appena dopo. E se durante la lettura è naturale interrogarsi del perché a volte sia troppo breve, o troppo lungo che si poteva aggiungere e togliere qualcosa, allora la scrittura sta funzionando, non predica ma interroga.
Nel frattempo della lettura un altro pensiero diventa chiaro: i padrini non sono solo delle famiglie e dei clan, ma anche ci sono anche i padrini dell’antimafia. Come i loro referenti primari, decidono chi vive e chi no sul palcoscenico che consegna immortalità alla propria onestà, trasparenza, lungimiranza, in fin dei conti martirio. I frammenti sono come un rompicapo, dove e come possono incastrarsi? Forse, ancor meglio, sono un’indagine in cui ogni pezzo per quanto uguale e contrario si incastra dove meno sembrava possibile. Ed ecco che come nelle commissioni Antimafia, uno dei massimi poteri d’indagine, ci possono essere indagati, corrotti, onesti e sceneggiatori. Già sceneggiatori chi di trame e chi di vere e proprie fiction, nomi che si riconcorrono nei titoli di coda delle serie televisive. Chi frammenta cosa è la domanda di fondo, o tutto il discorso su mafie e antimafie sono frammenti che non vogliono essere mai letti insieme. Un elemento urticante dell’amara ironia che pervade il discorso dei frammenti è il ricordo senza falsi pietismi degli innocenti che sono caduti. Corpi usati per fare pulizia morale, per pagarsi un mutuo con spettacoli o libri, ma corpi che non possono replicare. Usati e abusati, nella memoria e negli anniversari.
Ogni discorso su mafie e antimafie dovrebbe finire con un verbo all’infinito che impedisce di chiuderne la discussione, e i frammenti diventano dubbi, piuttosto che certezze, verbi all’infinito piuttosto che participi passati. Come in un cammino ad ostacoli sono le pietre che si muovono sotto i piedi, rotonde e imprecise che non lasciano mai il piede appoggiato bene. Non ci possiamo fidare di questi frammenti, come non ci possiamo fidare del perché la letteratura sulle mafie cerchi un punto di arrivo piuttosto che un punto di inizio e lascia da parte, con deferenza, le antimafie. Leonardo Sciascia, nel frattempo, si documenta in rete.