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In terra di impegno civile

Ma non c’è la polizia, i carabinieri o almeno i vigili urbani qui fuori la villa?”.

Rivolgo la domanda a Pietro Nardiello, una delle anime del primo festival “Le terre di Don Peppe Diana”. Si stanno dando gli ultimi ritocchi al palco per la seconda serata del festival. Il reading “Per amore del mio popolo” di artisti e scrittori si svolge nella villa confiscata di Mario Caterino. Oggi, è un centro di avviamento al lavoro. Stare in una villa confiscata, essere presenti ad un festival di impegno civile, diventa un’equazione perfetta solo se ci sono anche le forze dell’ordine?

O finalmente, si possono creare manifestazioni in cui non ci si sente minacciati sempre e comunque? Si può stare, anzi essere, a Casale di Principe senza il clima di guerra, oppressione che tanto si vuole presente?

Il festival risponde affermativamente a questa domanda.

Dedicato a Don Peppe Diana, la tre giorni ha dimostrato la volontà e la determinazione di andare oltre i proclami gridati, le promesse enunciate, le roboanti attestazioni di sostegno e sviluppo. Un “semplice” festival ha radunato persone e pensieri. Idee e volontà. Senza lanciare proclami offensivi alla camorra: se ne andranno con la forza del cambiamento che proviene innanzitutto dalla cultura, e non se ne andranno per una bella frase lanciata lì. Questo è sicuro.

Il festival ha proposto e promosso soprattutto un’idea di grandissimo valore: conferire la medaglia al valore civile per Federico Del Prete e Domenico Noviello. Una petizione che si può sottoscrivere online. Un’idea che bisognerebbe rendere ancora più radicale, dedicando una medaglia al valore civile a tutte le vittime innocenti di camorra.

Dedicarla a coloro che si sono opposti, ma soprattutto si oppongono.

Perché una medaglia non bisogna darla soltanto quando si è ormai morti, ma quando si è in vita. Testimonianza che lo Stato è presente e sorregge gli sforzi di chi dice no.

Il festival dell’impegno civile ha radunato quindi tantissimi aspetti della vita sociale e culturale del’agro aversano: dalle degustazioni della “N.C.O. Nuova Cucina Organizzata” (nome geniale, bisogna ammetterlo!) alla presentazione del documentario “Biutiful Cauntri”, ai testi “La società sparente” e “Questa corte condanna”, dibattiti e animazioni per i più piccoli. Il tutto in un clima del non piangersi addosso, ma dell’essere parte di una società civile che fa festa con la cultura con la propria presenza su un territorio che ha visto fin troppo sangue.

Una manifestazione rivoluzionaria semplicemente perché si è svolta in un tipico paese del Sud, che non ha spazi di aggregazione, che non ha un teatro, una libreria, un auditorium. Eh già, si vorrebbero queste cose, ma non ci sono. Il festival diventa, quindi, da subito impegno civile con il suo organizzarsi lì dove anche l’urbanistica è stata “non-progettata” per vivere, ma per soffocare.

Cultura e divertimento come cifra della tre giorni. Non solo morti ammazzati, ma anche letture, dibattiti e idee in libera circolazione.

Toccante il ricordo di Don Peppe Diana durante tutta la manifestazione. E pensare che qualcuno ha creduto che con un colpo di pistola lo si potesse fermare. Vivo ancora più oggi di ieri. La Chiesa dovrebbe fare la sua parte dichiarandolo martire della camorra. Anche questo sarebbe un segnale forte e deciso. Ulteriore conferma che se una persona può creare tutto questo, immaginiamoci 10, 100, 1000, non persone ma i paesi dell’agro aversano risvegliarsi. Si griderebbe alla vittoria.

Auspichiamoci, e promuoviamo, che sia conferita la medaglia al valore civile a Federico Del Prete, a Domenico Noviello, ma così anche a Michele Landa, e tutte le altre vittime: significherà che non è stato solo un festival, ma una terra diventata impegno civile.

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