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In viaggio con Luigi (De Magistris)

 

Allontanato dalle sue indagini, sottoposto a una sorta di processo dal Csm e da un pezzo, pesante, della politica italiana, De Magistris, l’uomo di Why not, abbandona la magistratura e si candida alle europee. E spiega perché lo hanno fermato

(Left 11, 20 marzo 2009)

di Sergio Nazzaro e Pietro Orsatti

Luigi De Magistris scende dal taxi con una piccola borsa in mano. L’uomo e il professionista più discusso del momento è di fronte a noi, da solo. Sorride. Nessuna scorta, niente luci blu dal suono accecante.

Appena trasferito a Napoli gli è stata revocata la protezione. Da un momento all’altro non ci sono più motivi che facciano temere per la sua incolumità. L’occasione è un viaggio Roma-Fano. Un incontro pubblico con Salvatore Borsellino. Appena varca la soglia del portone di Left De Magistris ci guarda: «Vi regalo uno scoop: mi candido per le europee». Un’occhiata agli orologi e si parte. Un viaggio senza navigatore, senza mappe preimpostate. Indicazioni, linee di massima, con la libertà di sbagliare o, forse, di imboccare la strada giusta. Osserviamo finalmente da vicino il magistrato che ha portato allo scoperto una vasta rete di corruzione, malversazione. Non è esaltato, invasato, non predica la fine del mondo o della democrazia. Ci chiede subito di usare il tu, di non essere formali: «Sono una persona semplice». Mentre la strada scorre, il telefonino di De Magistris suona in continuazione. Iniziamo a confrontare le esperienze di lavoro, di cosa siano oggi la comunicazione, il giornalismo, la magistratura, la giustizia. Voglia di conoscersi, anche perché è la prima volta che ci si incontra. Il paesaggio si anima, dopo la capitale: l’Italia. Non solo traffico e caos, potere e televisioni. Le esclamazioni si sprecano di fronte al Gran Sasso. Conveniamo che l’Italia è un gran bel posto dove vivere, per questo «non bisogna arrendersi e andare avanti».

Il microfono e la telecamera non si accendono subito. C’è voglia di comprendere bene. Di capire perché inchieste chiare e trasparenti siano diventate, per opera di qualcuno, opache e confuse: «Chi controlla il denaro pubblico, controlla l’economia nel Mezzogiorno. Controllando l’economia, si controllano posti di lavoro e quindi voti».

Dopo l’Aquila, l’autostrada Teramo – Ancona diventa una stretta carreggiata invasa di camion che si superano a vicenda. Ci colpisce la disponibilità all’ascolto di De Magistris, domanda, chiede pareri e opinioni sui più svariati argomenti. Ha voglia di ascoltare. Non usa i guanti bianchi. Se non conosce, chiede di approfondire, se ha un parere lo difende, lo articola. Ma accetta che anche i suoi interlocutori facciano lo stesso. Il sorriso si offusca solo quando ricorda le vicende di Salerno. Si inquieta. O forse è amareggiato profondamente come uomo che ha dedicato grande parte della sua vita alla magistratura. E tutti coloro che hanno lavorato per scoprire le verità più oscene, sono stati trasferiti lontani, in quei luoghi meravigliosi dell’Italia che stiamo attraversando dove muoiono le professionalità. «Forse questa campagna elettorale mi permetterà di vederlo un po’ tutto questo Paese». Il viaggio è pieno di domande e risposte. Come l’autostrada che percorriamo, qualche volta le risposte spaventano, sembrano essere una strada rischiosa, in cui i mezzi pesanti occupano tutta la carreggiata e sembrano non far intravedere un’uscita.«Neanche in Romania al tempo di Ceausescu – sbotta, e la ferita si vede che è ancora aperta -. Hanno sospeso il procuratore Apicella dal lavoro, addirittura dallo stipendio, solo perché ha posto un visto su una richiesta dei suoi sostituti. E guardate che non si trattava di un kamikaze, di una persona schierata, se vogliamo, con noi. Prima a Salerno hanno indagato su Why not, su come avevamo lavorato, e non hanno trovato nulla, poi è partito il resto dell’inchiesta». E oggi De Magistris si trova, con Apicella e altri sette pm di Salerno, indagato a Roma.

Chi tocca certi fili muore? La domanda è inevitabile. «Io ho dimostrato che partendo da un’apparentemente piccola inchiesta, se si indaga a fondo, si può scoperchiare un intreccio di interessi impressionanti. La Calabria la potremmo definire, per il malaffare, una regione obiettivo. Molti soldi pubblici, una classe imprenditoriale e politica di livello anche culturale basso, e poi una permeabilità elevata a interessi esterni». E Gioacchino Genchi, quello che da molti viene ormai indicato come il nemico numero uno, colui che ha tracciato milioni di italiani? «Genchi mi è stato segnalato dalla Procura di Palermo, che mi garantiva della sua professionalità e della sua pulizia. E devo dire che è stato preziosissimo nel corso delle indagini, con la sua capacità investigativa e di analisi delle prove attraverso la tecnologia. Inoltre sono certo della sua onestà. Un uomo con un profondo senso dello Stato». Una difesa non solo al lavoro del gruppo dell’inchiesta Why not, ma anche alla persona. E che attorno alle indagini condotte da Genchi per conto della Procura di Catanzaro si sia scatenato uno scontro ben più ampio delle inchieste bloccate è evidente, ormai da mesi. Il nodo rimane quello dell’anno delle stragi: il 1992. Falcone e Borsellino. L’emersione di intrecci inquietanti fra pezzi dello Stato e altri oscuri interessi, emersi proprio grazie a una delle prime inchieste condotte da Gioacchino Genchi allora commissario di polizia a Palermo. Sempre Genchi ha recentemente affermato che esiste una serie di coincidenze, anche di persone, fra l’inchiesta del ’92 e quelle condotte a Catanzaro. De Magistris non risponde direttamente alla domanda, ma l’affermazione successiva è chiarissima. «Una delle ragioni che mi hanno spinto ad accettare la candidatura che mi ha offerto Di Pietro è stata l’opportunità di poter trasferire anche in Europa e sul piano politico un punto che ritengo fondamentale – spiega -. Io mi metterò a servizio, difendendoli, di chi sta conducendo le delicatissime indagini su quelle stragi. E penso in particolare alle Procure di Palermo e Caltanissetta». Ma può essere solo questo, anche se è già enorme, il programma di un De Magistris parlamentare europeo? Mentre ormai l’Adriatico è diventato una tavola blu scura, l’ormai ex magistrato (o meglio giudice in aspettativa) si sbottona. «Le mie idee non le ho mai nascoste – si lascia sfuggire – ed è evidente che potevo essere una risorsa per la sinistra. Ma alla fine chi mi ha offerto una candidatura? Chi mi ha dato la possibilità di trasportare in politica la mia esperienza, la mia riconoscibilità nella società civile? Di Pietro». E non sembra, il De Magistris politico, un allineato, uno facilmente “governabile”. . E spiega: «Ho detto chiaramente a Di Pietro che io sono uno spirito libero. E lui mi ha garantito piena libertà. Poi, mi ha convinto la prospettiva di coinvolgere la società civile, specialmente nel Sud Italia, in un progetto nuovo».

A Fano l’abbraccio con Salvatore Borsellino, che nonostante la febbre è calato in macchina da Milano per incitare alla “resistenza”. La cittadina marchigiana ha accolto Luigi De Magistris e Salvatore Borsellino con una folla di ascoltatori attenta, in piedi, fuori dalla sala, nell’umidità fredda della sera, pur di ascoltare. C’è voglia di rinnovamento. Vero. Di onestà e di simboli. Di nuovi eroi, o di un Obama italiano. La gente ascolta, partecipa. Non sta seduta davanti a un televisore. Cena dopo il dibattito, altra grande folla e grande tavolata. Puntiamo gli orologi. L’indomani c’è la conferenza stampa. La presentazione ufficiale della candidatura. La sveglia è puntata all’alba. Sul mare Adriatico. Qualche ora di sonno e ci si ritrova nella hall dell’albergo per il caffè. De Magistris è tirato a lucido. Anni di lavoro in prima linea lo hanno abituato a poche ore di sonno. Comincia il viaggio di ritorno. Ci strappa la promessa che lo lasciamo dormire, almeno un’ora. Non ci saranno altre domande. Mentiamo.

Prendiamo la strada per Gubbio. Ancora una volta senza navigatore. Si va a naso. E troviamo la strada. Il pericolo della democrazia italiana, l’uomo che con le sue indagini vuole minare l’ordine democratico costituito ci ricambia il favore: domande su domande su immigrazione, sicurezza, lavoro. Ci si lascia andare a pensieri in libertà. Rifornimento, caffè, la gente che riconosce il magistrato. Sussurri, bisbigli, sorrisi. Sarà la notorietà da televisione, la sorpresa che per quanto se ne parli si faccia accompagnare da due che non somigliano proprio a poliziotti. O forse c’è un senso di stima. Il ricordo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino è vivo in Italia. Magistrati onesti, che lottano, che lavorano per rendere giustizia ai deboli. Sarà questo l’affetto che lo circonda, dai dibattiti alle stazioni di rifornimento? De Magistris vive fortemente la memoria di Falcone e Borsellino, massacrati dalle bombe. «Stavo facendo l’esame da procuratore nel ’92, e mi ricordo di aver visto Falcone che era venuto a prendere la moglie, Francesca Morvillo, che faceva parte della commissione. Il giorno dopo ero a casa, sdraiato sul divano, ancora sfinito dalla prova. Ho acceso la televisione e mi sono ritrovato davanti alle immagini della strage di Capaci». E il suo impegno politico è anche quello di voler dare una risposta alle ombre dietro quelle bombe. Il suo impegno politico, continua a ripetere, ricomincia dal 1992.

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