5 ottobre 2001
Islamizzare la modernità o modernizzare l’Islam? Con la crisi che ha colpito l’intero Occidente e l’incombente minaccia terroristica, questa domanda si impone sempre più di spesso all’attenzione di studiosi e intellettuali.
A tale proposito Clorofilla ha intervistato Predrag Matvejevic, considerato uno dei maggiori intellettuali viventi. Nato a Mostar nel 1932, insegna letterature comparate all’università Sorbona di Parigi ed è titolare della cattedra di slavistica all’università della Sapienza di Roma. Tra i moltissimi riconoscimenti, Matvejevic annovera anche la Legione D’Onore conferitagli dal governo francese, mentre il governo italiano gli ha concesso la cittadinanza per “meriti culturali”. Nel 2000 ha ricevuto un incarico dall’Alto Commissariato dell’Onu per i territori dell’ex Jugoslavia.
Qual è stata la sua impressione guardando gli attacchi dell’11 settembre contro gli Usa?
«La mia prima reazione è stata di profondo sgomento per la crudeltà degli attacchi. Ho scritto subito un testo in merito a ciò che stava succedendo, un’azione catartica per liberarmi da questa terribile impressione. Dopo ho confrontato ciò che stava succedendo con le mie ricerche sul mondo mediterraneo, i paesi islamici dell’area suddetta ma anche quelli dell’ex Jugoslavia. Da tempo affronto le problematiche del mondo islamico e in merito a questo voglio riportare una dichiarazione di un teologo islamico credente e dissidente che vive in Olanda. Il teologo formulò questa alternativa: islamizzare la modernità o modernizzare l’Islam. Non si può islamizzare la modernità, non c’è riuscito neanche il cristianesimo. Noi abbiamo avuto l’Illuminismo che ha scongiurato questa azione. L’impresa di islamizzare la modernità è un impresa assolutamente falsa e irrealizzabile. Modernizzare l’Islam è per i fanatici è un qualcosa di realizzabile, perché per loro il Sacro Libro non può essere toccato. Ma noi, pur non avendo toccato il Vangelo, abbiamo fatto terminare i roghi, le inquisizioni, le crociate. Questa nuova lettura del Corano, come ci indicano gli stessi islamici moderati, invece è possibile e necessaria. Bisogna abbandonare l’idea di islamizzare la modernità».
Si vede l’Islam come un fenomeno lontano geograficamente, ma nella stessa ex Jugoslavia, dove ci sono grandi comunità musulmane, vi è stato un durissimo scontro di civiltà e religioni, con oltre 400mila morti. Cosa ne pensa?
«Io non penso che si scontrino le culture o le civiltà, bensì si scontrano le culture tramutate in ideologie. C’è sempre un pericolo che una cultura si trasformi in una ideologia. Particolarmente alcuni tratti delle culture religiose si trasformano in ideologie pericolose. Una cultura nazionale si trasforma facilmente in una ideologia della nazione, e non è solo un gioco di parole. Un’ideologia della nazione spinge in senso ideologico i vari movimenti e le varie strutture sociali. Per quanto riguarda i Balcani, è presente un Islam tardivo, con una coscienza di essere stati prima cristiani. Nei Balcani siamo in presenza dell’Islam più laico che esista. Qui vedo un grave errore degli Stati Uniti e dell’Europa: invece di prendere questo Islam laico, molto mite, non aggressivo, in pacifica convivenza con il cristianesimo, lo si è lasciato nelle mani distruttive dei fondamentalisti cattolici e ortodossi, i serbi di Milosevic. Lo hanno distrutto ferocemente. I musulmani della Bosnia, di Sarajevo sono state vittime indifese, chiaro esempio di Islam moderatissimo da opporre ai veri fondamentalisti islamici. Sono tornato da poco da Sarajevo e Mostar, ho visto una grande depressione morale in questa gente. E’ già così tanto provata dalla guerra e dalle brutalità subite e ora la vogliono assimilare con questi fondamentalisti islamici con cui non hanno mai avuto niente a che fare».
In questo momento chi è vicino ai musulmani bosniaci?
«Dopo la distruzione di Sarajevo, Mostar, Gorazde e di moltissime altre città e villaggi musulmani, c’è stato un intervento di ricostruzione da parte dei paesi arabi produttori di petrolio. Si è avuto un intervento soprattutto da parte dell’Arabia Saudita per la ricostruzione delle moschee e dei monumenti religiosi. Questo è giusto. Dopo le devastazioni è il momento della ricostruzione. Ma queste ricostruzioni sono anche un’incognita. Che cosa possono portare? In che maniera possono incidere su di un Islam laico?».
Secondo lei, quindi, non sono un aiuto disinteressato, ma mirato?
«Sicuramente. Chi ricostruisce pone anche delle condizioni. Ricordiamoci che questa gente ha perso tutto. Ed è visibile un disinteresse e quindi un’assenza dell’Europa. I musulmani bosniaci accettano qualsiasi aiuto, perché vivono in condizioni terribili. Ma noi dobbiamo porci la domanda di dove possa portare tutto, capire qual’è la risposta a questa incognita. Ma bisogna rispondere anche quando si vedono nelle case ancora distrutte dalla guerra i simboli della croce. Sembra di rivedere le crociate».
In questi giorni si è parlato molto di una ipotetica superiorità della cultura occidentale su quella orientale. Cosa ne pensa?
«Io mi considero cittadino del mondo e quando ho sentito le affermazioni di Berlusconi mi sono vergognato come cittadino italiano. Sono stato accolto qui in Italia e da cinque anni ho la vostra cittadinanza. Io non credo assolutamente a una superiorità di una cultura su di un’altra. Si sta creando invece un abisso sempre più profondo tra ricchi e poveri. E si stanno limitando le libertà di migrazione e di immigrazione. Si sta creando un mondo sempre più diviso».
Professore, qual è il possibile ruolo della cultura in questo momento di crisi?
«La cultura deve assumere un ruolo dominante e preminente. Non dobbiamo cedere ai dogmi degli Stati Uniti e dell’Europa per cui ogni cosa è bianca o nera. Dobbiamo rifiutare questi manicheismi che non solo non ci servono, ma precludono qualsiasi possibile discorso tra le culture. Io non sono mai stato anti-americano. Ma bisogna chiedersi perché dalla fine della guerra del Vietnam esiste questo anti-americanismo. E’ giusto condannare l’attentato alle Torri, ma bisogna porsi anche le domande sulle cause di quanto è successo, altrimenti non si possono capire chiaramente i problemi alla base di questa crisi».