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La mafia d’Oltralpe: il caso Francia e Corsica

La mafia è ovunque in Europa. Un’affermazione netta, un dato di fatto, soprattutto. Eppure è necessario comprendere se la mafia esiste in un altro Paese europeo perché ha avuto contatti e presenza di mafia italiana, oppure perché ha sviluppato una sua mafia autoctona. Molte volte l’Italia è additata come patria delle mafie, immaginando che la criminalità organizzata possa rimanere confinata in precisi territori. La Francia e la Corsica sono al centro del dialogo con il professore Fabrice Rizzolidocente di Geopolitica della criminalità alla Sciences Po, Istituto di studi politici di Parigi. Rizzoli è anche direttore di Crim’HALT, associazione di studio e promozione di analisi e proposte legislative per il contrasto alla criminalità organizzata in Francia.

Si può parlare di mafie in Francia, e in che termini? C’è una sorta di migrazione delle nostre mafie o una criminalità francese che si è evoluta in mafia?

Mi ricordo che nel 1986 i politici alla televisione francese affermavano che la nube radioattiva di Chernobyl si sarebbe fermata alla frontiera. Ecco, c’è chi pensa ancora che la stessa cosa accada per le mafie. In realtà, esiste una Commissione parlamentare dal 1992 che affronta il tema mafie e dal 2010 il rapporto, non pubblico, della polizia giudiziaria francese, il Sirasco (Service d’information, de renseignement et d’analyse stratégique sur la criminalité organisée). Questo rapporto analizza le mafie straniere presenti in Francia: la Camorra, la mafia romena e quella georgiana hanno come campo d’azione quella dei furti di grande valore, dove è richiesta grande specializzazione. La mafia albense invece ha il controllo di gran parte del narcotraffico. Più elaborata la posizione della ’Ndrangheta, che si appoggia su propri elementi trasferitisi in Francia e un’alleanza con i gangster francesi da oltre 40 anni. Infine, la Francia è un paese di riciclaggio per tutte le organizzazioni criminali soprattutto nel settore immobiliare. Ma quello che realmente manca è lo studio anche accademico per comprendere che cos’è il crimine organizzato francese, per comprendere se c’è per davvero una mafia francese o meno. Detto questo, lo stesso Sirasco scrive che non esistono mafie francesi ma che l’arresto, nel giugno 2010, dei vertici del clan corso-marsigliese Barresi-Campanella, arrestati su uno yacht nel porto di Golfe-Juan, dimostra l’esistenza di una «organizzazione di stampo mafioso sul territorio nazionale: struttura sostenibile e gerarchica, multiple attività criminali, legami con il tessuto economico e sociale, corruzione, sofisticati sistemi di riciclaggio di denaro e legami con altre organizzazioni criminali».

In quanto Direttore di Crim’HALT avete ottenuto una vittoria importante con il voto all’Assemblea per approvare una legge sui beni confiscati. Perché fino ad oggi non c’è mai stata una legge del genere e come si sta muovendo la sua approvazione in termini legislativi, ci sono parti contrarie?

Non immaginavo che il percorso sarebbe stato così difficile e impegnativo. Nel dicembre del 2009, con un freddo terribile e con un piccolo gruppo di attivisti antimafia, abbiamo manifestato davanti al Consiglio dei Ministri dell’Unione europea a Bruxelles. Bisogna sempre attivarsi, e non solo scrivere! Per noi, le evidenze c’erano: avevamo più di 15 anni di esperienza sul campo che provenivano dall’esempio italiano. L’uso sociale dei beni confiscati dovrebbe essere applicato in tutti i paesi europei. La confisca, come istituto, in Francia comincia solo nel 2010 e i beni vengono venduti. Diciamo che il Ministero delle Finanze era contrario al riuso sociale dei beni confiscati, semplicemente perché voleva fare cassa. Nel 2016, grazie alla nostra attività di “lobbying” e con l’appoggio del mondo dell’economia solidale, la proposta è stata approvata dall’Assemblea Nazionale, ma poi bocciata per vizi di forma dalla Corte Costituzionale. È stata dura, credevamo che ce l’avremmo fatta. Purtroppo c’è molta ignoranza nella comprensione dei fenomeni mafiosi a differenza dell’Italia, dove invece avete un percorso ampiamente sviluppato. Crim’HALT è nata anche per questo, cercare di fare informazione su un argomento trascurato e chiedere il permesso di accesso dei cittadini, per esempio, ai rapporti del Sirasco o alle sentenze giudiziarie. Nel 2019, abbiamo avuto il voto all’unanimità tre volte dai parlamentari, mancava ancora un solo voto “conforme” del Senato: una formalità. Ma è arrivata la crisi sanitaria che ha bloccato tutto. Arriviamo quindi al 2021, e non vedendo la nostra legge nell’agenda del Senato, ho chiamato il senatore del mio dipartimento Alain Richard (ex ministro socialista della Difesa) e lui ha rimesso la nostra legge in agenda. Dopo l’Assemblée Nationale, il 1° aprile 2021 anche il Senato ha adottato la proposta di legge “volta a migliorare l’efficacia della giustizia locale e della risposta penale”. Però sarà l’inizio di una nuova lotta: bisogna poi avere il decreto attuativo e in seguito monitorare chi avrà il diritto a questi beni, perché non si deve dimenticare che in Francia l’uso sociale dei beni confiscati non sarà obbligatorio, purtroppo.

Che cosa accade invece in Corsica, dove c’è una vera e propria “mafia corsa”, e si ha una alta concentrazione di omicidi in relazione agli abitanti?

Negli ultimi 40 anni lo Stato francese, in Corsica, ha avuto paura dei gruppi indipendentisti, violenti. E siccome questa Isola è la portaerei geostrategica della Francia nel Mediterraneo, lo Stato ha lasciato fare al crimine organizzato la lotta armata per il controllo del territorio contro i terroristi. In cambio, la criminalità corsa ha ottenuto ampi favori dalle attività illegali a quelle legali. Di fatto, la violenza sistemica è orrenda in Corsica. L’impunità è estesa. La magistratura non ce la fa a reagire perché manca il délit d’association mafieuse e la confisca non è obbligatoria. Inoltre, altra differenza con l’Italia è lo status di collaboratore di giustizia, che non è possibile per coloro che hanno commesso omicidi. Dobbiamo pensare che in un’Isola di soli 340mila abitanti, 8.500 chilometri quadrati, dagli anni ’90 abbiamo avuto ben 30 omicidi di stampo mafioso all’anno. Ecco il controsenso di non applicare lo status di collaboratore di giustizia a chi ha commesso un omicidio, in Italia non avreste avuto la collaborazione di Brusca per esempio, una vera follia legislativa dal mio punto di vista. Solo recentemente ci sono stati progressi, ci sono state delle confische, sono state fermate sul nascere delle guerre criminali, ma è necessario un cambio culturale, perciò l’uso sociale dei beni confiscati è fondamentale. 

Dal suo punto di vista, si parla sempre di mafie in Europa, ma sembra un discorso aleatorio. Esiste per davvero un’espansione delle mafie in Europa e cosa occorre per contrastarla?

Quando si osserva l’attività di Europol negli ultimi anni, penso che la struttura di cooperazione ha raggiunto una sua maturità, è realmente efficace e i paesi accettano più facilmente di cooperare. Francia e Italia, ad esempio, svolgono inchieste comuni. In Europa, però, mancano i delitti di associazione mafiosa. Inoltre c’è un problema strutturale, ovvero considero le mafie come un prodotto della sfera legale della società. Secondo me, i mafiosi con il colletto bianco sono più numerosi in Europa perché hanno innumerevoli opportunità create dall’economia liberale: dai differenti paradisi fiscali esistenti, velocizzazioni del flusso dei beni come nel porto di Anversa, una finanza senza regole trasparenti, la possibilità di riciclare denaro sfruttando le diverse normative. Ecco che la mafia si mette giacca e cravatta e si trova a proprio agio, ma non da ora, da tanto tempo.  

Esiste una società civile in Francia, così come in Corsica, che si rende conto del pericolo delle mafie e reagisce o sono voci sparute?

La società civile francese soffre di una scarsa consapevolezza del fenomeno della criminalità organizzata. Per questo da 3 anni, nell’ambito di un progetto Erasmus finanziato dalla Commissione Europea, Crim’HALT ha organizzato un workshop sui beni confiscati alle mafie nell’area di Napoli nel 2019 e in Calabria nel 2020. Portiamo coloro che lavorano nel terzo settore francese, ma anche sindaci e giornalisti, sul campo, in Italia. Si tratta del paradigma di “antimafia sociale”, ovvero la lotta alla criminalità organizzata con il coinvolgimento dei cittadini attraverso la ridistribuzione a fini sociali dei beni confiscati alle mafie. Siccome ci sono dei beni confiscati in Francia, si può creare una rete di collaborazione transnazionale. Questo deve essere il nostro approccio e il nostro fine, altrimenti di transnazionale rimangono solo le mafie. Da settembre del 2019, due associazioni antimafia si sono formate in Corsica e si cerca di sensibilizzare sul tema delle mafie. Ecco, immaginiamo che cos’è fare antimafia in Corsica, regione che immaginiamo solo come meta turistica. Fare antimafia oggi in molte parti d’Europa è come da voi negli anni ’80: difficile, ma non impossibile.

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