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Le mozzarelle di Mike Davis: Corriere del Mezzogiorno

 

Intervista recensione di Giorgio Mottola

L’intervista sul sito del Corriere del Mezzogiorno.it

L’agrocemento aversano raccontato dai fumetti di Nazzaro e Costantini
Si intitola «Le mozzarelle di Mike Davis» l’ultimo racconto dello scrittore sulla decadenza campana

NAPOLI – Come apparirebbe l’agro aversano agli occhi di Mike Davis, uno dei più geniali teorici dello sviluppo urbano? Ha provato ad immaginarlo lo scrittore Sergio Nazzaro. Ne è nato uno scenario da medioevo postmoderno: l’agrocemento, un’indistinta conurbazione, tenuta insieme da un abusivismo senza identità, fatta di non luoghi. Il racconto, intitolato «Le mozzarelle di Mike Davis» è scandito dalle parole dell’autore di «Io per fortuna c’ho la camorra» e dai disegni del fumettista Armin Barducci.

Pubblicato nel libro ideato dal famoso fumettista Gianluca Costantini, «Inguine Mah 2009», edito da Comma 22, un’antologia di disegnatori e scrittori che provano a raccontare, a fumetti, la realtà delle città italiane. Nazzaro si è occupato di Caserta: «Da noi – dice Nazzaro – la parola agro sembra aver poco a che fare con la parola agreste, ma più con acre, amaro».

Come mai ha scelto proprio Mike Davis?
“Ritengo illuminanti tutte le cose che ha scritto. Mi ha fatto capire come va codificata l’urbanizzazione delle città nel mondo. Il suo approccio alla realtà è fantastico. Guarda e spiega le cose non da accademico ma da ignorante, in questo modo rende comprensibile a chiunque la forma dello sviluppo delle città contemporanee”.

Perché, nel racconto, definisce il Sud come un non luogo?
“Tutti abbiamo presente l’immagine del Sud da cartolina. Ma in realtà il Sud non esiste come luogo. I nostri sono non luoghi, costruiti solo dalla consuetudine. Abbiamo punti di ritrovo, bar, vichi, piazze, che però diventano riferimenti solo perché c’è l’abitudine a frequentarli. Ma non danno un vero contributo alla costruzione della socialità comune. L’immagine stessa del Sud da cartolina è un non luogo, visto dall’alto. Man mano che lo sguardo diventa più particolare ci si trova di fronte ad una serie di non luoghi a procedere. Prevale così un’atomizzazione e una frammentazione dell’esperienza sul territorio”.

Lei, nel fumetto nei suoi libri, ribattezza l’agro aversano come «agrocemento». Perché questa definizione?
“E’ un modo per esprimere la triste visione di questa campagna invasa dalla cementificazione abusiva. Un’unica, immensa colata di tondini di ferro che ha dato vita ad una zona di confine. Si tratta di paesi che, in pochi anni, hanno assunto la dimensione di cittadine, senza conquistare una propria identità. Posti come Aversa non sono più paesi, ma non sono nemmeno città”.

Perché secondo lei la gente dell’agro aversano non ama la terra in cui vive?
“Perché ci vive con il senso dell’emigrante, che non ha più un casa. Vorrebbero avere il desiderio di un luogo dove poter tornare. Per molti non esiste affatto il luogo della casa. La Campania ha smesso di essere felix, perché ha perso l’amore dei suoi cittadini. Lo dimostra l’indifferenza per il disfacimento di queste terre da parte delle organizzazioni criminali”.

Il quadro che lei ne fa è da Medioevo postmoderno.
“Beh, è un contesto ancorato al passato, rimasto immobile davanti alla storia che cambiava. Osserviamo malinconici e rabbiosi la modernità che non è arrivata e nel frattempo stiamo marcendo, ripiegati su noi stessi. Il futuro qui sa di vecchio, ancor più della terra che lo dovrebbe ospitare”.

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