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MafiAfrica: City

Bruno de Stefano, giornalista e scrittore, mi intervista per il free press City.
(leggi online) (scarica il pdf MafiAfrica City)
La mafia africana figlia dell’Italia. Sergio Nazzaro ha indagato sulla criminalità organizzata africana in Italia: “L’unica mafia straniera ad essere nata nel nostro Paese”.
Perché un libro sulla mafia africana?
Perché è un fenomeno poco conosciuto in Italia, nonostante proprio in Italia ci sia la sua “cupola”
E dov’è la “cupola”?
Tra Castel Volturno (sul litorale casertano, ndr)e Napoli. Castel Volturno è una cittadina dove ormai la maggioranza è di colore. Non che questo sia un assioma di criminalità, ma un territorio dimenticato per molto tempo ha prodotto una vasta impunità.
Quali sono i tratti salienti della mafia africana e soprattutto chi ne fa parte?
Il tratto più interessante è che si sono costituiti mafia in Italia. A differenza dei russi o dei cinesi che sono già “mafia” nel loro Paese, gli africani diventano mafiosi qui e questo la dice lunga sulle condizioni ambientali in cui viviamo. I nigeriani sono coloro che dominano la scena, ma anche ghanesi, ivoriani, e altre nazionalità si affacciano sulla scena criminale.
Che cosa ti ha colpito maggiormente di questo fenomeno criminale?
La capacità di adattamento. Non amano la vistosità o il potere, sanno di essere ospiti. Organizzati in cellule, come Al Qaeda, si muovono velocemente. Altro tratto saliente è la loro spietatezza.
In che senso?
I sacrifici umani. Ci sono già stati in Inghilterra e Irlanda. Oltre ai riti voodoo per assoggettare le prostitute, esiste la realtà dei sacrifici umani. Che per avere maggiore effetto, devono essere compiuti quando la vittima è viva. Celebre è il caso di un bambino di cinque anni trovato senza gambe, braccia e testa.
Sono mai accaduti in Italia?
È la domanda a cui sto cercando risposta. I carabinieri del Ros, che hanno eseguito le più importanti indagini, mi hanno detto che non ci sono elementi. Così anche il pm Giovanni Conzo, una delle persone più esperte in questo campo. E mi preme sottolineare la professionalità di queste persone che combattono una mafia veramente internazionale, il più delle volte nel silenzio dei media.
Come hai condotto la tua indagine?
Ho studiato le fonti, ho letto atti e documenti e soprattutto consumato le suole delle scarpe, andando sul campo. Credo che il giornalismo investigativo si possa fare soltanto rischiando in prima persona. Mi piace soprattutto mettere il luce il lavoro di chi combatte ogni giorno questo fenomeno. Che siano forze dell’ordine o associazioni sul territorio. Compito del giornalismo è illuminare queste vicende, non porsi noi al centro dell’attenzione come se fossimo gli scopritori di chissà quali verità.
Nel libro affronti anche la strage di Castel Volturno del settembre 2008 quando furono uccisi sei africani dalla camorra casertana.
Ricostruisco la storia da tre punti di vista diversi. Il giorno dopo sono state dette moltissime inesattezze, cerco di far parlare i fatti. Già che non ci si ricordava della strage di Pescopagano, vicino Mondragone, del 1991 in cui morirono cinque persone e ci furono sette feriti la dice lunga sullo stato dell’informazione in Italia.
Il giorno dopo ci fu anche la rivolta degli africani
Si, ed anche sulla rivola sono state dette cose, a mio parere inesatte. Non è stata una rivolta contro la camorra, ma semplicemente la rivolta di chi è disperato e viene anche ammazzato. Si fa molta informazione teorica, invece di accertare i fatti sul campo.
Come è nata e cresciuta questa mafia africana?
Gli africani da schiavi nelle campagne del Sud negli anni ‘80, si sono trasformati in padroni. Hanno compreso che il crimine semplicemente rende molto di più. Questo è un tratto essenziale. Ma non bisogna dimenticare che gli affitti in nero degli africani vengono pagati ai bianchi, così come la prostituzione e la droga viene acquistata dai bianchi, al sud e al nord del nostro Paese.
Insomma, da schiavi a padroni con la complicità degli italiani.
Sì, anche il rapporto con la camorra è molto articolato. Delle volte è solo un pizzo da pagare, altre volte si coopera, altre volte ancora si fanno veri e propri affari insieme e i camorristi in armi difendono i loro protetti africani da altri africani. Di certo è che la mafia africana è presente e convive solo in Campania, piuttosto che in Sicilia e Calabria.
Quanto è frutto dell’immigrazione clandestina?
La disperazione conduce moltissimi nelle braccia del crimine organizzato. Il più delle volte si da la colpa agli immigrati di tutti i problemi, ma l’Italia è casa nostra, tocca a noi saper gestire l’ospitalità e i flussi, il più delle volte conviene soltanto girare la testa e lasciare che i problemi si sviluppino.
Coi mondiali di calcio alle porte metti in guardia da un altro rischio…
È probabile che aumentino i sacrifici umani. La credenza che il sacrificio umano serva per rendere florido il proprio business, comporta questo grave pericolo in Sud Africa.
Il tuo è un atto di accusa contro gli africani, gli immigrati?
Assolutamente no. Come non si può affermare che gli italiani sono tutti mafiosi, così anche gli africani non sono mafiosi. L’inchiesta nasce proprio per cercare si comprendere non di generalizzare.
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