Alessandro Esposito è l’autore del libro “Manuale del perfetto venditore di droga” edito da Zero91. Un racconto che nasce da esperienze vere, che si nutre di grande ironia e molta compassione. Un racconto reale delle strade di Scampia da parte di chi le ha vissute per davvero. Ed oggi ci consegna un affresco sincero, umano, e che riesce a spiegare (bene) molto di ciò che sembra già essere conosciuto.
Il tuo libro affascina, diciamocelo, perché sembra che tu abbia spacciato droga per davvero e vissuto sulla strada, quindi vogliamo mettere un attimo di ordine alla biografia, prima di continuare?
“E’ chiaro che l’argomento mi è noto. D’altronde risulterebbe difficile raccontare in modo profondo una realtà così particolare senza averla vissuta davvero. Come tanti altri giovani ho passato diversi anni per strada, campando tra criminali, trafficanti e situazioni pericolose. E ovviamente ho conosciuto – stando per strada è inevitabile che ciò succeda – la droga: la droga è l’elemento principale di aggregazione criminale nonché il prodotto che – più di altri – ti permette di arricchirti in fretta e conquistare immediatamente potere e territorio. Tutto questo nel mio caso è durato per molti anni, prima da consumatore e poi da trafficante organizzato. Da diversi anni invece ho scelto la via della legalità e oggi lavoro come pubblicitario a Milano, dove ho messo su una famiglia meravigliosa”.
Chi scrive e vuole raccontare la Camorra e i suoi traffici deve avere un retroterra di vissuto reale, o è un accessorio? Bisogna sporcarsi le mani o meno?
“Dipende. Oggi tutti parlano di camorra. Sembra essere il piatto del giorno per giornalisti e scrittori. Io farei distinzione tra il volerla raccontare da osservatori esterni, cosa più che legittima e che spesso produce risultati giornalistici ed editoriali da premio, ed avere la pretesa di volerla raccontare dall’interno. In questo caso bisogna averla vissuta. Un poco come gli psicologi che rispondo alle domande sui tormenti amorosi, nella posta del cuore: possono dare risposte esaustive e impeccabili, ma i veri tormenti li conosce solo l’innamorato”.
Il tuo libro mi è piaciuto perché spiega con chiarezza la ricchezza che produce la droga, e in questo lo trovo un libro morale, ma credo che non tutti sono d’accordo con questa definizione.
“Io cerco di fotografare una situazione. Non esprimo giudizi né tantomeno mi permetto di fare moralismi. Ho cercato di raccontare una realtà – anche antropologica e culturale – attraverso il punto di vista di chi la vive davvero, giorno per giorno. Intensamente”.
Scampia, Secondigliano sempre uguali, stesse storie e medesime tarantelle, vorrei conoscere il tuo punto di vista del perché non cambia una virgola mai in quel territorio del napoletano.
“A Secondigliano, come in tante altre periferie del mondo, è troppo radicata la cultura dell’arricchimento immediato e del consumo, nelle sua forme più voraci. Gli unici modelli che funzionano sono quelli di chi riesce a conquistare il potere subito e senza regole. E l’unico sistema per raggiungere questi risultati, nei ghetti e nelle periferie, è il crimine. Pertanto è difficile, almeno nell’immediato, che cambi questa scenario. Questo soprattutto a causa di uno stato che in alcuni territori è praticamente assente, ha gettato la spugna e ha imbarbarito migliaia di cittadini privandoli di strumenti essenziali come la scuola, i servizi sociali, i punti di aggregazione e tanto altro. Forti di questa assenza, le organizzazioni criminali sono diventate l’unico punto di riferimento concreto per sfuggire ad una vita fatta di miseria e privazioni. E anche per tentare la fortuna”.
Napoli è la più grande piazza di spaccio. Milioni di euro che cambiano mano ogni giorno. Dal tuo punto di vista esiste una sorta di disegno criminale maggiore, o è solo un arricchimento che vive giorno per giorno senza nessun grande schema di fondo?
“Lo schema di fondo, il disegno maggiore e unico, non è creato a tavolino da supergruppi criminali. Questa è, secondo me, assoluta fantascienza. E’ la longa manus del mercato a equilibrare la filiera criminale che deve essere sempre perfetta ed efficiente. Al mercato non importa se oggi un super trafficante (o un piccolissimo spacciatore) venga ucciso, l’importante è che da domani qualcuno prenda il suo posto è il consumatore venga soddisfatto, nel nome del dio mercato. Ne è prova il frenetico avvicendarsi di boss che si sostituiscono ormai nel giro di pochi mesi, giusto il tempo in cui riescono a dimostrarsi più efficienti di altri (non era mai stato così negli anni passati). E nonostante questa precarietà di “dirigenze criminali”, il mercato non si ferma mai. Il venditore è relativo, è la vendita ad essere essenziale. Perciò, se può risultare facile per le forze dell’ordine eliminare un camorrista, molto più complesso è sradicare la camorra”.
La tua storia personale ti ha fatto conoscere anche Castel Volturno qual è il tuo punto di vista sulla criminalità africana presente.
“Ero frequentatore assiduo di quei posti. Una terra di frontiera dove gli africani fanno affari per chilometri e chilometri. Sia droga che prostituzione. Spaccio di polvere chimica e di carne umana. Tutto senza controllo. Ricordo che gli episodi di violenza, su quelle strade, erano all’ordine del giorno. Africani che fregavano sul peso gli italiani e italiani che caricavano i neri nelle loro auto e poi li derubavano della droga. Anche se non mancavano trafficanti serissimi e nella zona comunque si era creato un grande mercato, tutto sommato affidabile. Molti italiani si riforniscono di droga nella zona. A quanto so, tolti tragici episodi recenti, questa presenza africana (nigeriana in particolar modo) negli anni passati non è mai stata ostacolata dai criminali locali che qui la fanno da padroni. Quindi suppongo che abbia portato vantaggi anche a loro. Non credo che la camorra regali fette di territorio per pura generosità”.
Si discute molto di camorra, ormai è un argomento ben noto. Di tutta la letteratura che si è fatto e si fa cosa ti ha colpito maggiormente e cosa invece ti ha dato fastidio.
“Questo è un bene perché i riflettori sono puntati su un problema importante. Diverso è trasformare il fenomeno in pura merce da vendere sotto ogni forma. A questo proposito tengo a precisare che io non ho scritto nella fattispecie un libro sulla camorra, tutt’altro. Ho scritto una storia sorprendente (e un business plan che spiega come diventare narcotrafficanti) ambientata nella periferia malsana di Napoli soprattutto perché è il posto che conosco meglio. E che quindi so raccontare meglio”.