Non chiamatemi eroe

Intervistiamo in questo numero Sergio Nazzaro, scrittore e giornalista per numerose testate del territorio italiano, che con il suo lavoro al servizio dell’antimafia ha contribuito a testimoniare come la criminalità organizzata sia ben radicata in tutta Italia.

Be Different a cura di Abrham Bisignano

Prima di tutto una domanda per capire chi sei e quale è stata, se così possiamo dire, la tua gavetta. Come hai iniziato e soprattutto come ti sei addentrato al mondo del giornalismo?

Per rispondere subito nel merito, con la curiosità. la gavetta è essere curiosi, rimanere sempre curiosi e provare a comprendere quello che accade intorno a noi, la realtà. poi nel mio caso specifico mi incuriosiva il perché sparassero sotto a casa mia, il perché ci fossero morti ammazzati, bombe, provenendo da un paese che 30 anni fa soffriva la piaga della criminalità organizzata e della camorra. possiamo dire che è un po’ la curiosità, ma anche un po’ quella necessità di dover raccontare quello che accadeva quotidianamente sotto a casa mia.

Pensi che questa sia divenuta poi la tua missione nella vita?

La mia missione è essere felice e scavalcare le montagne per la donna che mi ha spezzato il cuore. Vedi a volte ci si inventa grandi avventure, grandi spedizioni, invece basta semplicemente affacciarsi dalla finestra. Se tutti raccontassimo ciò che accade appena fuori dalla nostra finestra avremmo già fatto un grande passo in avanti. Avevo la necessità impellente di raccontare, scrivere, narrare e dare voce a chi non ce l’ha, perché se hai la possibilità di raccontare e la usi solo per te stesso non ha nessun tipo di valore.

Parlando di coraggio, quanto ce n’è stato, se c’è stato coraggio, nel raccontare queste tematiche?

Personalmente sulla parola coraggio ci andrei piano: per me ha coraggio chi si sveglia la mattina e resiste a qualsiasi tipo di influenza, nel senso che conduce la sua vita senza cedere alle scorciatoie; ha coraggio chi ha un figlio disabile e va avanti in una società dove la fragilità è messa sempre ai margini. Se vogliamo usare poi il coraggio come una sorta di eroismo veramente no grazie. Ci vuole incoscienza! Di quella ne serve davvero tanta, ci vuole il ‘’coraggio’’ con sé stessi di credere che puoi farcela a raccontare, ci vuole coraggio a sostenere, a volte, la durezza di certe storie. Ma il coraggio vero e proprio appartiene a tutti coloro che la mattina si svegliano e non piegano la testa, a chi crede che un atto di gentilezza può cambiare il mondo, a chi crede che i sentimenti sono la pietra angolare su cui costruire la realtà, a chi non cede ai falsi amori perché deve mettersi comodo nella vita, a tutti coloro i quali stanno scomodi.

Ti saresti mai aspettato di arrivare da quella forma di incoscienza di cui mi parlavi, a lottare in questo modo contro la criminalità organizzata?

Penso che alla fine tutti possiamo fare tutto se ci mettiamo d’impegno, se riscopriamo parole come sacrificio, dedizione e costanza, se riscopriamo una parola stupenda quale la perseveranza, che non solo ti permette di raggiungere i traguardi, ma che un pezzettino per volta trasforma il mondo.La grande lezione che ci hanno lasciato falcone e borsellino è fare il proprio dovere in maniera seria e serena, e credo che a loro oggi darebbe molto fastidio esser considerati ‘’eroi’’, perché erano semplicemente delle persone che facevano il loro. E attenzione, c’è un’altra cosa: noi pensiamo che tutto questo sia pesante, e invece è esattamente il contrario!

Relazionarsi con l’altro, nel tuo lavoro, è fondamentale. Vai fiero dei rapporti umani che hai creato?

Credo che tutte le relazioni umane ti arricchiscono, ti incuriosiscono, ti mettono in disequilibrio. Conosci le persone, conosci le realtà, conosci le storie ed è quella la vera ricchezza del mio lavoro alla fine. I rapporti umani ti danno equilibrio e disequilibrio, perché l’incontro con quell’essere umano ti pone davanti ad un’altra prospettiva, ti arricchisce, ti interroga, ti pone dubbioso. E qualsiasi relazione che veramente ti scuote le fondamenta, però te le calma, ti arricchisce, ti costruisce, ti dà un pezzo. Ed è questa la cosa più bella e più importante.

E con i giovani che rapporto hai?

Faccio tanta formazione con i giovani, li incontro nelle università e la cosa che noto con più interesse è che spesso e volentieri sono impauriti, anestetizzati. E davanti a questo il mio consiglio è di uscire fuori, di non chiudersi. Oggi sembra quasi che ci sia una sorta di difficoltà alle relazioni, noi adesso stiamo parlando ma paradossalmente, avremo potuto sfiorarci per strada e neanche rivolgerci la parola. Sai che c’è? Alla fine, la vita è una, e vale la pena provarci, nonostante le mille paure e difficoltà che anche io, con il lavoro che faccio, posso avere.

Stavi parlando del lavoro di formazione che tu fai proprio con i ragazzi, e quello che ti volevo chiedere è che consigli daresti tu ai giovani, se c’è una parola o una serie di parole che vorresti consegnare loro?

In primis: non seguite consigli, perché la è la gente fallita che dà consigli; seguite piuttosto l’istinto, il cuore. A questo poi segue la curiosità, rimanete sempre curiosi! Il cuore, come dicevo prima, perché se fai qualcosa senza il cuore, non vale la pena. Poi amare, amate qualsiasi cosa che fate, amate la persona che vi sta a fianco, combattete il pregiudizio, combattete gli schemi, combattete la vita preordinata che vi hanno messo sulle spalle. Fate la vostra parte e non abbiate paura del futuro, perché tanto il futuro farà sempre paura, perciò sbagliate. Allo stesso tempo imparate ad essere gentili, perché un atto di gentilezza cambia il mondo, siate cerotto per chi è ferito più di voi, o forse anche di meno di voi. E poi imparate a sprecare il vostro tempo. Spreca il tempo per chi vuoi bene ma anche per chi non conosci. Sprechiamo il tempo nelle relazioni, nelle parole, nel confronto umano, nell’amore, nel costruire famiglie. Poi forse non andranno bene, ma proviamo ad essere tutti quanti una grande famiglia allargata. Io ci credo! Infine, la cosa più importante, che è non avere mai rimpianti, non arrivare alla fine di tutto che hai rimpianti perché indietro, di certo, non si torna.