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Passaggio di Testimone

“Passaggio di testimone” (Navarra Editore

Undici giornalisti uccisi dalla mafia e dal terrorismo raccontati in


Siani dopotutto di Sergio Nazzaro

Il 23 settembre 1985 Giancarlo Siani veniva ammazzato dalla camorra. Pochi giorni dopo aver compiuto 26 anni. Ero troppo piccolo per ricordarmi anche solo la notizia al telegiornale, e quindi è bene astenersi dalle celebrazioni post mortem che includono anche dialoghi fittizi tra una persona ormai celebre e uno scrivente che deve onorarne la memoria. Dialoghi che sanno molto di poesia A’ Livella di Totò, o fanno molto Antologia di Spoon River, un ricordare metodico e mesto che dovrebbe sommergere di malinconia l’animo di chi legge. Preferibile un dialogo tra vivi, in cui la realtà ha il suo posto d’onore, quello scomodo. Oggi Siani avrebbe 53 anni e si comincerebbe a preoccupare per la propria pensione. Si farebbe molte domande, la prima è come mai tra i tanti martiri del giornalismo siano capitati proprio a lui i proiettili quelli veri, mentre oggi si discute tanto e solo di minacce ai giornalisti. Del perché si diventa simboli solo dopo avvenuta morte e mai celebrati per il proprio lavoro in vita. Ma soprattutto a 53 anni suonati una domanda assillerebbe il nostro cronista napoletano: perché non è cambiato nulla? Non sono pochi gli anni trascorsi dalla sua morte, eppure le pagine dei giornali che tanto amava raccontano le solite storie di degrado. Non ho conosciuto Siani, né pretendo di farlo attraverso la lettura dei suoi scritti, ma non so perché vedo un grande punto interrogativo sul suo volto, non quello dipinto per una manifestazione, ma piuttosto un’imitazione del Joker, lo storico nemico di Batman, tanti punti interrogativi, uno dopo l’altro. Di camorra si moriva prima e si muore ancora, lo spaccio di droga è sempre più vasto e la gente muore per uno scippo, passi avanti? Tra grandi arresti, grandi promesse e l’impegno quotidiano di pochi in confronto ai tanti, il 1985 della camorra, assomiglia terribilmente al 2012 della camorra. Ma anche all’anno precedente e così via. Un anno uguale all’altro, se non fosse mortale sarebbe quasi noioso. E Siani si interrogherebbe se vale ancora la pena scrivere l’ennesimo articolo della collusione mafie politiche, e sentirebbe la mano scricchiolare, stanca, perché tante, troppe volte ha scritto le stesse, solite storie di malaffare. Opterebbe sicuramente per un articolo sugli effetti della più grave crisi del dopoguerra. Come certi delitti di camorra, come certe collusioni, anche la crisi economica non ha colpevoli mentre intorno la gente muore o semplicemente impazzisce. Chissà a 53 anni se le rughe disegnano falsi sorrisi, o non si sorride proprio più, e la criminalità organizzata disegnata come una potente macchina da guerra, non sia solo una macchina di morte improvvisata dove tutti muoiono per nulla, per pochi soldi. Chissà come si sentirebbe Siani, a dover ricordare le promesse non mantenute delle istituzioni. Bravo com’era a seguire le piste, avrebbe messo in fila anche tutte le promesse dall’ultimo consigliere di circoscrizione fino al presidente della Repubblica e primo ministro di turno, eppure il profilo del golfo di Napoli non sarebbe cambiato di una virgola. Certo a ben guardare ci sarebbero i rifiuti sepolti, ma anche quelli sono diventati cumuli visibili, perché dal 1985 al 2012 ci passa che non si ha neanche più la decenza del nascondere, dell’occultare. Siani avvertirebbe come non più necessaria la qualità dell’andare a scovare, a indagare del giornalista: basta affacciarsi e tutto è messo ordinatamente in vista, la morte, la collusione, l’intreccio. Quando è così palese non c’è neanche bisogno di aver paura di parlare, tanto lo vedono tutti. Poi certo Siani apprezzerebbe Arnaldo Capezzuto e le sue denunce a chi intimorisce un giornalista. Niente strepiti, molta paura ma quella ci sta, grande fermezza e alla fine si trascinano i camorristi dove meritano in tribunale. E si vincono anche le cause. Siani si porterebbe il collega a mangiare una pizza a discutere di come vanno le cose nella splendida e tanto sanguinante città di Napoli. A 53 anni ci sarebbe da tenere a cura la famiglia, le bollette che aumentano mentre i servizi calano e se calano in generale nella loro qualità, al sud fanno tuffi da record. E chissà se al posto di un’inchiesta mafie politiche, non sarebbe più interessante un pezzo investigativo sul perché quando manda i figli a scuola Siani deve mettergli anche un rotolo di carta igienica nello zaino, perché a scuola è già tanto che ci sta il bagno, e che funziona. Non ho mai conosciuto Siani, ma mi butto a indovinare, avrebbe avuto una faccia interrogativa a guardare il suo iPad e il rotolo di carta igienica, qualcosa non tornava di sicuro. E chissà che questa volta la camorra non aveva proprio nessun ruolo. Dopo tanti anni sul campo, andava anche a parlare nelle scuole, nei licei. A dire cosa? Sarà che superati i 50 anni ci si sente stanchi, oppure sentiva puzza d’imbroglio e non voleva farne più parte Siani? Quella mattina si sarebbe dato malato, con carta del medico subito pronta, perché ormai bastava poco per farsi buttare fuori da qualsiasi lavoro, lavoro che doveva tirarti a campare fino ai settanta anni, e anche se fai qualcosa che ti piace farlo per decenni, sì ti annoia un poco. Parlare ai giovani di futuro, ma dal 1985 cosa era cambiato? Si stava meglio quando si stava peggio, e dai che ancora una volta i vecchi adagi avevano ragione. Lui un contratto in mano lo aveva e i figli lo avrebbero avuto. E cosa c’entrava la camorra con tutto questo, mannaggia a loro, fonte di tutti i guai, e quando le giornate andavano male ci stava un’anziana con la capa scassata per un borsellino con 50 euri dentro, ecco la criminalità disorganizzata. Sì a 53 anni Siani sarebbe stato bene in salute, con i soliti acciacchi dell’età, ma nulla di che. Sarebbe andato anche a correre di tanto in tanto sul lungomare liberato. Forse avrebbe avvertito una morte sociale dentro il cuore, un dispiacere duro a morire, una sorda lamentela: non cambia nulla. Forse una morte eclatante per qualche giorno muoverebbe le acque, ma poi tutto come prima. E il profilo del golfo di Napoli uguale, d’inverno e d’estate per tanti anni ancora a venire. E quando non si conoscono le date, i dati, ma si sanno i fatti, be’ si sente anche il peso di avere 53 anni.


Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Carlo Casalegno, Peppino Impastato, Mario Francese, Walter Tobagi, Pippo Fava, Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Beppe Alfano sono gli undici protagonisti di Passaggio di testimone

raccontati da Roberto Alajmo, Sergio Nazzaro, Gianpiero Caldarella, Elena Ciccarello, Francesca Barra, Danilo Chirico, Claudio Fava, Michele Gambino, Maria Luisa Mastrogiovanni, Sergio Nazzaro, Franco Nicastro, Sandra Rizza e Peppino Lo Bianco.

Undici professionisti del giornalismo militante che hanno perso la vita per il loro desiderio di giustizia, raccontati da chi oggi continua a denunciare con la stessa forza le storture della nostra società.

“Il testimone – scrive nella prefazione al testo Salvo Vitale, storico compagno di Peppino Impastato e direttore della collana Fiori di campo – è il latore di una testimonianza, colui che trasmette un ricordo che lo ha visto protagonista o comparsa, chi ha vissuto un’esperienza in una determinata occasione, o insieme a un determinato personaggio. Il testimone è inteso come prova dell’avvenuto passaggio di mano, come espressione di una volontà di continuazione, come eredità, come incarico a proseguire. Nel caso dei giornalisti uccisi dalle mafie tutto questo diventa una sorta di testamento, l’ideale prosecuzione di una traccia di sangue e un invito a che il sacrificio non sia stato vano, non finisca nel silenzio e nella dimenticanza”.

Il Passaggio di testimone è quello tra 11 giornalisti uccisi tra gli anni ’60 e i ’90 della Storia d’Italia e 11 giornalisti contemporanei che ne tracciano un profilo inedito e personale partendo da una traccia della memoria o dell’immaginario, da un’emozione che mette insieme la stima per i colleghi scomparsi e la rabbia per coloro che ne hanno spezzato la vita. Ciascun racconto è accompagnato da un  ritratto inedito curato dall’illustratrice Elena Ferrara.

Passaggio di testimone è il settimo volume della collana Fiori di campo, collana di punta Navarra Editore, che è l’emblema della giovane casa editrice indipendente siciliana che contraddistingue il proprio profilo editoriale per l’attenzione alle tematiche di impegno civile. La collana Fiori di campo – realizzata in collaborazione con l’Associazione Culturale Peppino Impastato Onlus e diretta da Salvo Vitale – nasce per raccogliere le voci e tracciare i profili di uomini e donne, che si sono battuti per la legalità, la difesa dei diritti umani e civili, l’interesse per le minoranze e per gli sguardi trasversali. Soggetti, singoli o collettivi, che hanno fatto Storia con la loro storia.


I diritti d’autore del libro saranno devoluti alla rivista Casablanca – Storie dalle città di frontiera, visionabile sul sito www.lesiciliane.org. La rivista, che vanta interventi e collaborazioni di rilievo, è un piccolo grande esempio di giornalismo militante e porta avanti la cultura della legalità; attorno a essa si sono riuniti diversi giornalisti passati per l’esperienza de I Siciliani.

“Un lavoro d’inchiesta puro, cristallino, che gli ha preso la mano, lo ha intrigato, lo ha appassionato al punto da condurlo alla morte’’.   (Sandra Rizza e Peppino Lo Bianco)

Gli chiesi perché si vestisse sempre in quel modo, pantaloni bianchi, camicia bianca e tutto il resto. “Per farmi fare questa domanda – mi rispose. – Poi a ognuno regalo una risposta diversa. Ne ho una anche per te”. Rise: “Io vendo gelati, come vuoi che mi vesta?”. Lo ammazzarono un mese dopo. (Claudio Fava)

Strana, a pensarci, questa sopravvivenza della memoria. Strana perché Impastato era un ragazzo abbastanza ordinario, nella sua straordinarietà. Ribelle alle convenzioni, in conflitto frontale col padre, con una madre che cerca di mediare fra i due poli opposti di famiglia. Ce ne sono tanti, di ragazzi così, allora come oggi. La differenza sta nel contesto.  (Roberto Alajmo)

“Certe volte mi dico che era destino che dovesse finire così, che certi uomini straordinari non possono fare nulla in modo banale, nemmeno morire”.  (Michele Gambino)

“A Cosimo solo la Storia ha dato ragione. Quel giovane giornalista non è più ricordato come un “matto” per via del suo look molto curato, con baffi e pizzetto che lo facevano somigliare a un moschettiere”. (Gianpiero Caldarella)

E Siani si interrogherebbe se vale ancora la pena scrivere l’ennesimo articolo della collusione mafie politiche, e sentirebbe la mano scricchiolare, stanca, perché tante, troppe volte ha scritto le stesse, solite storie di malaffare. (Sergio Nazzaro)

“Con Giovanni diventammo amici perché avevamo una visione comune della professione e sentivamo di appartenere alla stessa “famiglia”. L’ambiente in cui facevamo le nostre esperienze ci stava abbastanza stretto. Ci pesavano l’omologazione e il respiro culturale limitato, una stagnazione politica e un sistema di relazioni che componeva un’omogenea aggregazione di poteri. L’informazione non era un’altra cosa: era la stessa cosa”.  (Franco Nicastro)

Esserci, osservare, mai tirarsi indietro, mai distogliere lo sguardo. La responsabilità, a cui mai si voleva sottrarre, di guardare e vedere. E poi scrivere. Tutto questo mi arriva oggi: mentre scrivo, nel pomeriggio del 16 novembre 2012, sono passati 35 anni dall’attentato. (Maria Luisa Mastrogiovanni)

Mario allevava passioni quotidiane come i suoi animali, la casa in campagna, la gente più semplice conosciuta nei quartieri popolari di Palermo, che poi fu anche la sua prima fonte di informazione. La musica, i suoi figli. Il lavoro. Cose ordinarie che, se compiute da uomini straordinari, nobilitano il senso. (Francesca Barra)

Era abile nell’instaurare un dialogo con interlocutori distanti da lui, umile nel raccogliere il vissuto degli altri, eppure capace di riannodare, con un diligente e talentuoso esercizio della ragione, i fili sparsi delle impressioni. Come gran parte dei giornalisti di vecchio stampo si spostava per l’Italia per maturare un’esperienza personale degli eventi, e non dimenticava mai di portare con sé grossi quaderni che riempiva di note e impressioni.  (Elena Ciccarello)

“È questione di giorni”, ripeteva ai suoi familiari terrorizzati. Per questo, aveva fretta di raccontare, di scrivere, di provare – a modo suo – a far cambiare le cose. Non ha fatto in tempo. L’hanno ammazzato, Beppe Alfano. (Danilio Chirico)

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