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Sostiene Sankara

Sostiene Sankara copertina

SOSTIENE SANKARA

AA.VV. a cura di Kanjano e Amanda

La vita e il pensiero di Thomas Sankara, il “Che Guevara Africano” che ha immaginato una via più equa e giusta allo sviluppo economico e sociale del Continente Nero.

“Il debito pubblico africano, controllato, dominato e alimentato dall’imperialismo occidentale, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che ogni africano possa diventare schiavo finanziario di chi ha avuto l’intelligenza e la furbizia di investire da noi. Per questo noi, oggi, esigiamo un rimborso.” Thomas Sankara

Conosciuto come “il Che Guevara Africano”, il capitano militare Thomas Sankara è stato il primo presidente libero dell’Alto Volta, paese a cui egli stesso cambiò il nome in Burkina Faso, ovvero “la terra degli uomini integri”. Leader carismatico ed esempio di moralità per tutta l’Africa Occidentale, Sankara ha realizzato riforme radicali per eliminare la povertà e le disuguaglianze, ha promosso l’uso dei contraccettivi contro l’AIDS, ha combattuto la pratica dell’infibulazione e lavorato per cambiare la mentalità dei più giovani con l’obiettivo di proporre all’Occidente la cancellazione del debito internazionale africano. Fu ucciso il 15 ottobre 1987 assieme a 12 colleghi in un colpo di stato organizzato da un suo ex compagno d’armi, l’attuale presidente del Burkina Faso Blaise Compaoré, con l’appoggio di Francia e Stati Uniti d’America.

Con le traduzioni dei suoi discorsi sul debito africano, sulle donne, sull’ambiente, sull’unità africana e approfondimenti scritti di Marinella Correggia (Altraeconomia), Silvestro Montanaro (Raitre) e Sergio Nazzaro. 

I disegni dei migliori talenti del fumetto italiano: Christian Ghisellini, Mauro Biani, Akab, Toni Bruno, Simone Lucciola, Vito Manolo Roma, Rocco Lombardi, Kanjano, Daniele Serra, Roberto Biadi, Marina Girardi, Fabrizio Des Dorides

Thomas Sankara (in vecchiaia) di Sergio Nazzaro

Sono morto, non troppi anni fa. Come altri capi di Stato africani mi hanno ucciso. Solita storia. Però, però sarei voluto invecchiare anche io. Essere vecchio, anziano, oggi, forse saggio. Affacciarmi da casa, osservare il mondo fuori dalla finestra o dentro allo schermo della televisione e poter dire: “ve lo avevo detto io”. Con amarezza, senza stupore, sapere prima non sempre evita il dolore. Ma cerchiamo di mettere un poco in ordine, anche se spesso è meglio diffidare di chi vuole mettere ordine. Sono Thomas Sankara, mi chiamavano il Che Guevara dell’Africa, senza merchandising. Con la mia faccia non hanno fatto magliette, spille e bandiere da sventolare. Non che volessi la mia faccia dovunque, anzi, ma è innegabile che le idee vadano diffuse, su carta o su maglietta. Ma anche questa è Africa: sempre meno affascinante di una spiaggia cubana.

I miei meriti non sono importanti, le idee sì. Non accettare l’ineluttabilità della povertà, la certezza del debito, in fin dei conti la morte. Già, parole mie. Potrei ribadirlo a tutti voi oggi: il debito uccide. Sentire addosso la pressione di un’aria pesante, invisibile, ma che non fa respirare. Il trascorrere del tempo ha solo unito i diversi colori della pelle. Banalmente rimane solo la distinzione tra chi soffre e chi non si preoccupa del domani, perché possiede anche il benessere di chi soffre. Sarei anziano abbastanza da comprendere che sì, ci deve essere speranza, ma non bisogna farsi troppe illusioni. Dopotutto da quando sono morto, si continua a parlare di pozzi e di scuole da costruire in Africa, come se fosse una storia senza fine, uno spot televisivo che si inserisce di tanto in tanto tra un gioco a premi e un disastro naturale. Debito, parola magica. Dovremmo avere debiti con noi stessi, con i nostri amici, con le persone cui vogliamo bene, debito verso la comunità, migliorarla. Debiti verso la nostra vita, da saldare sorridendo. Invece il debito del denaro, del dover avere, come una piaga si espande lì, oltre il mare dei morti migranti, nelle case di chi si riteneva al riparo prima da muri e poi da mari invalicabili: è come morire dissanguato e la tua cura è solo un litro di sangue che ti deve bastare e poi lo devi anche rendere. Quando mi hanno ucciso ne avevamo fatto di cose: sanità, cultura, e scusatemi se esagero, abbiamo diffuso felicità. 

Già, l’esatto contrario di ciò che produce il morbo del debito. Aria che stringe la gola. Non ci sono mani che stringono, solo conti bancari vuoti. La misura tra vita e disperazione. Infelicità. Poi immaginate a non avere neanche un cesso dove smaltire la depressione, nascosti agli occhi degli altri. Anche questa è Africa, Terzo Mondo, o, più semplicemente, maggioranza di questo mondo? Ciò che agita ancora il mio sonno è una domanda: perché si deve morire se si vuole il bene comune di tutti? Eppure forze e interessi preminenti economicamente impongono la propria forza. C’è sempre qualcuno che viene a casa tua a prendere la tua terra, a darti un lavoro, forse un reddito, non certo la felicità. E come finisce questa storia? Già, pensavate che tutto si risolveva a pagare a rate, solo che erano le vostre vite a rate, non le carte, con quelle avete smagnetizzato il domani e la speranza. 

Molti di voi si vorrebbero buttare in un pozzo africano, di quelli mai costruiti. Potevate ascoltare. Invece no. Quello è africano, è un rivoluzionario, sì, ha fatto tante cose belle, ma quella è casa sua. E oggi siamo tutti a casa del debito. Non è una bella sensazione, lo so per esperienza. Soprattutto quando i più deboli muoiono. Ma non quelli delle pubblicità tra un film e un altro, il bambino denutrito, la donna malata. Strano come muoiono i più forti, i più decisi i più coraggiosi, muoiono lentamente e si spengono. Mi dite che è facile per me, perché tanto sono già morto? Sì, avete ragione, forse. Ma comunque non rinuncerei a morire di nuovo, perché c’è un solo debito a cui tengo, quello che devo a me stesso, alla mia dignità.

 

Sostiene Sankara quarta

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