di Chiara Marasca NAPOLI – A Riace, nella profonda Calabria, circolano delle banconote con su impresso il volto di Peppino Impastato. Sono dei buoni spendibili nei negozi del paese, equivalenti a cinque o dieci euro, che il Comune distribuisce agli immigrati. E a chi gli chiede se la sua apertura verso gli extracomunitari è frutto del suo essere di sinistra, il sindaco risponde: «No, sono del partito di Peppino». Contro le mafie, dunque.
È una delle tante storie raccontate in «Strozzateci tutti», il volume collettivo edito da Aliberti – la presentazione giovedì 28 alle 18 all’ex asilo Filangieri di Napoli con l’assessore alla cultura Nicola Oddati, il magistrato Raffaele Marino, lo scrittore Luigi Pingitore e alcuni autori – che vuole essere, dichiaratamente, una risposta al premier Berlusconi che il 28 novembre di un anno fa aveva detto «Se trovo chi ha fatto le nove serie de La Piovra e chi scrive libri sulla mafia facendoci fare brutta figura nel mondo giuro che lo strozzo».
Ed eccoli qui, allora, gli «scrittori da strozzare»: ventitré penne di diversa provenienza, geografica e professionale, che hanno deciso di lavorare insieme a quello che Marco Travaglio, nella prefazione, definisce «un testo popolare che rilancia, con un linguaggio divulgativo e accessibile a tutti, una discussione sulle mafie pubblica, militante e plurale». In realtà il percorso degli autori del volume nasce ancora prima dell’esternazione di Berlusconi: è una rete che si crea piano piano, negli ultimi due anni, a partire dall’impegno del giovane storico di Pagani Marcello Ravveduto e dalla sua instancabile capacità di animare confronti e iniziative con i coetanei segnati dalla stessa attitudine: quella di pensare che l’impegno professionale quotidiano, soprattutto qui al Sud, sia esso nel campo della ricerca sociale, del giornalismo, della psichiatria, del volontariato, della pubblica amministrazione – questi i settori in cui lavorano gli autori – possa comunque essere caratterizzato dal valore aggiunto dell’impegno antimafia.
La copertina
Riunire i propri lavori sotto un titolo e un obiettivo che chiama in causa il premier ha un sapore troppo ideologico? Rischia di sminuire l’impegno e ridurlo a spot politico? «Se contrastare le mafie è un atteggiamento ideologico, allora vuol dire che la nostra è l’ideologia dell’antimafia», risponde Ravveduto, che ha curato il volume con la collaborazione di Bruno De Stefano, Sergio Nazzaro e Claudio Pappaianni: «La nostra scelta civile prescinde dalla collocazione politica del premier. Ci schieriamo a favore della libertà di espressione e di opinione», continua, «Abbiamo, però, voluto reagire all’inadeguatezza di una certa classe dirigente che finge di non vedere per non rispondere ai problemi reali del paese: i cittadini dovrebbero cominciare a chiedersi, con onestà intellettuale, se è legittimo che un presidente del Consiglio, di destra o di sinistra, minacci di strozzare quanti scrivono di mafie e quale effetto civile un’affermazione del genere può avere sull’immagine del Paese».
I tagli dei contributi sono molto diversi tra loro: c’è l’inchiesta giornalistica, c’è il saggio storico, la lettura sociologica, il racconto, divisi nella due sezioni «Mafie quotidiane» e «Mafie interpretate». Se vogliamo trovare un punto debole sta forse proprio nell’eccessiva varietà stilistica, ma è chiara la scelta di tenere insieme l’«anima» del lavoro, di non sacrificare nessuna delle voci che avevano partecipato a un percorso creativo comune, anche a costo di pregiudicare un po’ l’uniformità della lettura. Decisamente vari sono anche i temi trattati, alcuni decisamente nuovi nel panorama della pubblicistica sulle mafie, tra l’altro notevolmente aumentata negli ultimi anni, altri già trattati, ma qui proposti in una chiave comunque interessante. Bello il lavoro sulle feste della camorra, viaggio nell’hinterland napoletano dove i clan rafforzano il loro consenso sul territorio promuovendo e sponsorizzando le feste dei santi patroni, in una perversa unione di sacro e profano.
Un altro contributo ci mostra invece come le mafie si insediano, inquinandole, nelle pubbliche amministrazioni, ma, ed è questo il taglio inedito, non siamo né a Pozzuoli né a Marano, giusto per citare due tra i Comuni più volte sciolti per camorra, ma a Trezzano sul Naviglio, in provincia di Novara, a Fondi. E non a caso il testo che lo precede è un puntuale affresco della presenza della criminalità organizzata nelle regioni italiane: e, escludendo a priori le quattro aree del Sud dalle quali le mafie hanno mosso i primi passi, le relazioni di magistrati e Parlamento non risparmiano quasi nessun pezzo della Penisola. Un’inchiesta fatta sul campo nel senso più tradizionale del termine, ci porta poi a conoscere la G2, la generazione dei figli degli immigrati nati in Italia, andando ad esplorare due terre tenacemente inquinate dai clan: Castel Volturno e Riace, in Calabria. E di ’ndrangheta, soffermandosi sulle canzoni usate dalle ’ndrine per veicolare il loro messaggio, parla anche un altro lavoro, inedito e interessante: tanto sappiamo sui neomelodici così poco sui «colleghi» calabresi. E poi ci sono il cinema e le fiction sulle mafie e tanto altro.
Impossibile una panoramica completa, ma vale la pena citare l’interessante e complesso saggio conclusivo in cui si ragiona sulla progressiva formazione, tra le vittime, di una religione dell’Antimafia, e su possibili analogie tra quest’ultima e la Resistenza antifascista, ad immaginare un «Risorgimento perenne». Ma chi sono gli scrittori da strozzare? Giornalisti, la maggior parte (Massimiliano Amato, Anna Bisogno, Alessandro Chetta, Bruno De Stefano, Raffaella Ferrè, Andrea Meccia, Pietro Nardiello, Sergio Nazzaro, Giorgio Mottola, Nello Trocchia, Francesco Piccinini, Claudio Pappaianni, Francesca Viscone) e tra loro alcuni già autori di libri sul tema, ricercatori nel campo delle discipline storiche, sociali e mediche (Corrado De Rosa, Serena Giunta, Iolanda Napolitano, Carmen Pellegrino, Antonella Migliaccio, Marcello Ravveduto), impiegati, funzionari pubblici, mediatori culturali gli altri (Gianni Solino, Giovanni Abbagnato, Vincenzo Ammaliato, Emiliano Di Marco).
Ma non c’è solo il libro: gli autori gestiscono anche un blog collettivo, all’indirizzo strozzatecitutti.info, dove è postato il «manifesto» del progetto e sono precisate alcune regole del gioco: prima tra tutte quella di «metterci la faccia», legando il proprio nome a qualsiasi commento o articolo. E le facce, o meglio, ventitre faccine stile facebook, gli autori le hanno messe anche sulla coopertina del volume. Nel «manifesto» gli scrittori da strozzare scrivono che è loro obiettivo «Riflettere senza riflettori: cercare i nessi profondi. Sottrarre al racconto ogni intento romanzesco, ogni riferimento casuale, incasellare fatti offrendo una visione di insieme senza infingimenti e storture». Nascosta tra le righe, qua è là, potrebbe scorgersi una certa voglia di essere gli «anti -Saviano», ma loro rispediscono l’«accusa» al mittente: «Il nostro desiderio è far emergere le voci resistenti che quotidianamente affrontano le mille mafie locali. Tutto qui», spiega ancora Ravveduto, «Il fronte è uno solo: da un parte ci sono i mafiosi, con i loro complici, dall’altra gli italiani onesti, che qualcuno continua a chiamare fessi».