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Vivere in barca

 

di Roberto Soldatini postfazione di Sergio Nazzaro

«Quelle case, seppur bellissime, avevano un difetto: la visuale, anche se cangiante, era sempre quella. E dopo tanti anni ancora mi piace, e mi entusiasma, questa possibilità di cambiare casa alla mia casa. Ossia, non di cambiare casa, ma il suo orizzonte.»

Quello che volete sapere sul vivere in barca e non avete mai osato chiedere. Roberto Soldatini risponde ai quesiti che sono nella mente di chi non conosce le barche, di chi ne ha una e sogna di viverci, oppure di chi è soltanto curioso riguardo a questa scelta. Ma intende anche condividere con gli altri naviganti le esperienze di tredici anni passati in mare. Aneddoti e consigli, piccoli infortuni e disgrazie, meraviglie e dispiaceri, ironia a profusione, in questo manuale-diario di bordo si ritrova tutto, ma soprattutto la gioia di vivere.

I vascelli vagabondi
di Sergio Nazzaro

La curiosità che suscita il vivere in barca ha pochi pari nella vita. Sono andato a vivere a Parigi, Londra o altra capitale porta meno domande da parte dell’interlocutore di quante ne porti l’interrogare chi ha deciso di vivere sul mare. Togliamo subito ogni dubbio, il libro di Soldatini risponde a mille e un quesito che abbiamo nella nostra testa. Aneddoti, manuale vero e proprio, piccoli infortuni e disgrazie, ironia a profusione, incanti e meraviglie, tarantelle e dispiaceri, gioie e profumi. Nel testo di Soldatini si ritrova tutto, soprattutto la gioia di vivere, e di un continuo interrogare la vita attraverso l’interagire con il reale mentre si sogna a occhi aperti. E togliamoci anche un altro dubbio: questo è un libro sul vivere, il dove diventa quasi secondario. Mentre ci perdiamo tra ancoraggi, vele e sartie e termini non comuni per noi terrestri, il dove perde sempre più importanza, ciò che conta è vivere. Non in barca, sul mare, ma vivere il mare. Due le dimensioni che si coniugano, il mare e la terra, attraversando i mari per conoscere nuovi territori, varcare confini, senza che questi siano disegnati su mappe che in acqua lasciano il tempo che
trovano.

Vivere, questa la partitura di Soldatini, non una nuova, ma quella definitiva. Scrivere del proprio vivere significa aprire il proprio cuore al lettore. Farlo addentrare nel quotidiano dei timori e delle speranze. Non è un libro giustificatorio di una scelta, non è la volontà di confermare dei sogni, ma la volontà di vivere, perché è solo quello che abbiamo. Soldatini compone una partitura in qui le note sono il tempo e i giorni, la melodia è il respiro dei giorni. Nella curiosità di come si possa mai sviluppare la quotidianità dei gesti che abbiamo nelle nostre città, nei nostri paesi, la lettura ci porta in quella difficoltà di provare ad immaginarsi altro, altrove, immaginarsi ancora e provare a rimarginarsi nei propri desideri e la realtà.

Ma come si fa questo e come si quest’altro, ma poi come fate a fare? E la sequela di domande potrebbe continuare per davvero all’infinito. Qui, invece, tutto rallenta, nella vastità dei gesti quotidiani, delle difficoltà, dei tramonti e delle albe. Nell’era digitale dell’impercettibile, in barca ogni fatica è fatica, ogni oggetto deve rispondere ad una necessità e non al superfluo che riempie le nostre case.

Non c’è lezione, non c’è cattedra, c’è solo una composizione che risponde al nome di Aria. Una ribellione non contro il mondo, ma contro le proprie abitudine, l’abitudine all’imprevisto che ti mette comodo nella vita. Sì comodo, non più scomodo come agli inizi che ogni impedimento è visto come ostacolo insormontabile. Comodo nel sapersi parte del mondo del mare che non ha nulla di definito ed ogni viaggio è meraviglia e scoperta, prudenza e incertezze. Vita, in fin dei conti.

I vascelli vagabondi nati dalla penna di Charles Baudelaire, che hanno coinvolto nella sua traduzione i maestri Raboni e Bufalino in Italia, ed infine coinvolto Battiato e Sgalambro, sono il cuore pulsante di queste pagine. Vascelli vagabondi, siamo noi stessi se riprendiamo a cuore la nostra memoria di esseri umani, esseri viventi. Se la libertà del sogno ritorna ad essere così prepotente da farci salpare per davvero. Ma forse non accadrà, non avremo una casa e neanche una barca, ma non conta per davvero. E’ necessario vivere, prima che tutto finisca, che il nostro tempo finisca, che tutti i giorni che abbiamo vissuto e quelli che ci rimangono da vivere si esauriscano. Questo testo ci riconsegna la lenta e irrefrenabile urgenza del vivere.

Non è forse la principale urgenza dei tempi che viviamo costruire una memoria a breve termine, in cui una storia dura solo quindici secondi, al massimo ventiquattro ore, e poi tutto scorre, come un’immagine su uno schermo. La vogliono costruire e noi ci adeguiamo a questa dimenticanza di noi stessi, senza mai provare a fronteggiare questo movimento che non è partitura. Forse amareggiati dai dolori e dalle ferite, lenitivo moderno essere curati nel dimenticare e dimenticarsi.

Queste pagine ci riportano a noi, a chi eravamo, chi siamo e chi vogliamo essere. Soprattutto sono pagine che ci invitano a immaginarsi, perché lo scriveva tempo fa Danilo Dolci, si cresce solo se sognati.

 

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