Witness Journal n.38: il macello e la pietà. Accompagno con un testo il fotoreportage di Jacopo Querci nei macelli italiani.
Ci vuole pietà. Molta pietà. Anche se sono prodotti in serie, ed io li squarto in serie. Tutti i giorni, otto ore al giorno. Qualche festività salta, ma di questi tempi va bene così. Più gli straordinari. Non c’è niente di cui impressionarsi. E’ carne e sangue. Non mordono mica. Nessuno può dire che fa schifo, che viene da vomitare. Quando il profumo esce dalla padella o dal forno, a nessuno viene la nausea. Le mani scelgono con cura nei supermercati, indicano bene al macellaio il coltello dove deve tagliare, tutti esperti di qualità, dei grassi e delle proprietà alimentari. No, qua non ci viene nessuno. Qua, tra i miei coltelli, nessuno fa l’esperto. Qui si lavora, per mangiare e far mangiare. Che c’è? Hai bisogno di aria, vuoi sederti? Qua non ci sono divani dove gustarsi le pubblicità di animali che parlano, che ridono, tutti belli e puliti. Qui si squartano con pietà, con rispetto. Che significa che sono straniero? Non posso avere rispetto del mio lavoro, di queste bestie? Non parlano molto, non dicono niente, quando il coltello entra nella gola, muoiono. Si mangia la carne da sempre. Qualcuno la pulisce per motivi di religione, ma per mangiare si uccide. Nessuna distinzione. A parte i vegetariani, ma non sono una religione. Non è un lavoro sporco, all’odore ci fai l’abitudine, anche al silenzio. I ganci di acciaio sono duri, lividi. Vedi lo infili nelle zampe così possiamo entrare nelle loro viscere. Questo va bene, questo si butta, alla fine sai come far muovere le lame velocemente. Credi che si puliscono da sole queste bestie e vengono sulla tua tavola perché sei simpatico? Non si possono muovere quando vedono arrivare le lame. No, non li guardo più negli occhi. Ci sono io e loro. E ammazzo l’unica compagnia che ho, non è molto intelligente se ci pensi bene. Ma questa è la vita, uccidi per sfamarti. Sono fatti in serie e li ammazziamo in serie. Giorno dopo giorno, li facciamo scolare, poi qualcuno li impacchetterà. Per il sangue basta dare una spazzata. Le giornate lunghe, silenziose, uguali. Come le file di pacchetti di polistirolo con il mio lavoro dentro. Tanto non che ci si badi molto alla fine: guardi il peso, il prezzo, e lo butti nel carrello. Tra il latte e i biscotti. Non ci sta sangue, non ci stanno coltelli, non ci sono neanche io, non ci sono gli odori. E’ una carne bella, soda, quasi sensuale, pronta per saltare in padella. Quando la prendi in mano e la metti sul nastro di plastica per pagarla non puoi neanche immaginare un posto come questo, un lavoro come il mio. E fai bene, altrimenti lasceresti nel carrello la carne, insieme alla pietà.